martedì 25 maggio 2010

SS. TRINITA'

30 – 5 - 2010-
(Proverbi cap. 8)

[22]Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, fin d'allora.
[23]Dall'eternità sono stata costituita,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
[24]Quando non esistevano gli abissi, io fui generata;
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua;
[25]prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io sono stata generata.
[26]Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi,
né le prime zolle del mondo;
[27]quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull'abisso;
[28]quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell'abisso;
[29]quando stabiliva al mare i suoi limiti,
sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia;
quando disponeva le fondamenta della terra,
[30]allora io ero con lui come architetto
ed ero la sua delizia ogni giorno,
dilettandomi davanti a lui in ogni istante;
[31]dilettandomi sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo.

(Romani cap. 5) [1]Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; [2]per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. [3]E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata [4]e la virtù provata la speranza. [5]La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

(Giovanni cap. 16) [12]Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. [13]Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. [14]Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. [15]Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà.

Dopo l’ascesa al cielo del Signore Gesù, l’invio dello Spirito Santo nella Pentecoste, finisce il Tempo di Pasqua per ritornare al Tempo Ordinario e la Santa Chiesa propone, nella sua liturgia domenicale, l’adorazione del mistero trinitario, cioè della intima essenza di Dio. Noi siamo stati battezzati nel “Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Nel nome.. e non nei “nomi..” Perché Dio è uno, anzi è UNICO, non ce ne sono altri.
Non sempre è stato così. L’uomo, nell’antichità, e forse ancora adesso, ha adorato le creature al posto del Creatore dando dimensione divina a manifestazioni della natura (uragani, temporali, tuono, lampi ecc.) e si circondava di divinità identificandole con manifestazioni della natura (fertilità, sterilità, ecc.) e di queste facendosene immagine scolpita o dipinta. Il Signore ha voluto rivelarsi all’uomo e lo ha fatto lentamente nei secoli secondo la possibilità dell’uomo di apprenderla.
Intorno al XX – XVIII secolo a.C. (Abramo e i Patriarchi ) si cominciò ad elaborare la concezione di una divinità prevalente, principale cui prestare culto (monolatria). Questa concezione non escludeva le altre divinità, ma si prestava culto ad un solo Dio. Con Mosè, circa il 1200 a.C. e con l’alleanza del Sinai ( la Legge) si consolida questa concezione ed a praticare culto ad un solo Dio, anche se a fatica (il vitello d’oro). Nel popolo ebraico, scelto da Dio come suo popolo, la tentazione di tornare all’idolatria era continua e pressante, circondato come era da popoli pagani ed idolatri, spesso più potenti di lui che lo soggiogavano e lo dominavano. Sconfitti i nemici (1000-900 a.C.) il popolo ebraico, sempre più cosciente di essere il popolo prediletto da Dio, non cessò comunque di essere tentato dalla idolatria, sebbene in modi diversi. Il regno ebraico del nord (Israele) fu distrutto dai babilonesi (720 a.C.) e poco prima di questa data il Profeta Isaia (765 - 700 c.a.) dichiara esplicitamente e senza mezzi termini l’unicità di Dio: (Isaia cap. 45) [5]Io sono il Signore e non v'è alcun altro;// fuori di me non c'è dio; // ti renderò spedito nell'agire, anche se tu non mi conosci, // [6]perché sappiano dall'oriente fino all'occidente //che non esiste dio fuori di me.
Il regno di Giuda seguì la sua sorte del regno del nord nel 587 con la distruzione di Gerusalemme e la deportazione della popolazione in Babilonia producendo nel popolo, ma soprattutto nella classe sacerdotale, una profonda crisi di ripensamento:” Il Signore ci ha puniti!” L’incubo della punizione dai peccati domina la religione esilica e postesilica: se i peccati erano la vera causa delle sciagure sia personali che collettive, una sola era la soluzione: osservare scrupolosamente la “Legge”.
Il ripensamento della propria religione porterà alla riscrittura, o alla scrittura di sana pianta, dei testi sacri, con le sue leggi, le sue regole. I profeti avevano annunciato già da tempo la venuta di un Messia e il popolo lo attendeva ansiosamente sognando una restaurazione politica perduta (Israele la riacquisterà solo nel 1948 con la fondazione dello Stato di Israele).
Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, [5]per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. (Gal.4,4s). Gesù è il “Logos”, il Verbo, la Parola di Dio mandato da Padre non per annunciare una nuova religione, ma per confermare e perfezionare quando rivelato nei secoli attraverso i profeti, ma con un altro spirito, con un altro approccio, un comandamento nuovo: (Giovanni cap. 15)[17]Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. Gesù ha confermato quanto era stato rivelato nell’AT aggiungendovi un comandamento nuovo: l’amore. Invoca e chiede dai suoi quel sentimento che ha spinto Lui ad assumere la carne umana e morire sulla Croce.
Fintanto che Gesù era sulla terra non avevamo bisogno di nulla perché Lui soddisfaceva tutte le necessità dell’uomo, ma dopo la sua ascensione :(Gio.14) [16]Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, Sono queste le tre persone della SS. Trinità: Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Noi non abbiamo la capacità di indagare oltre sulla natura intima, sull’essenza di Dio; per noi è sufficiente questo. Rimane un mistero che ci sarà svelato dall’amore di Dio quando saremo al suo cospetto.

domenica 16 maggio 2010

PENTECOSTE

PENTECOSTE
23- 05 – 10
(Atti cap. 2) [1]Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. [2]Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. [3]Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; [4]ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi.
[5]Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. [6]Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. [7]Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? [8]E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? [9]Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, [10]della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, [11]Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio».
(Romani cap. 8) [8]Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. [9]Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. [10]E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. [11]E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. [12]Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; [13]poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete. [14]Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. [15]E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». [16]Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. [17]E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.(Giovanni cap. 14) [15]Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. [16]Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. [24]Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
[25]Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. [26]Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.


Shavuot è la festa biblica della mietitura in cui si celebra il Dono della Torah sul monte Sinai, l'evento più significativo della storia ebraica. Nel 2010 Shavuot inizia al tramonto del 18 maggio e si conclude al tramonto del 20 (in diaspora).[ Da un sito web dei giudei-messianisti]
La festa di Pentecoste è una delle tre feste dell’A.T. nelle quali il Signore aveva comandato che si facesse il pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme. Questa festa che gli ebrei chiamano Shavu’oth ( settimane) ebbe agli inizi come motivo la mietitura dell’orzo e la chiamarono la festa della mietitura, ma in seguito la associarono alla consegna della Legge sul Sinai perché come la festa delle settimane cadeva cinquanta giorni dopo la festa di Pasqua, così la Legge fu consegnata loro dopo sette settimane (cinquanta giorni) dall’uscita dall’Egitto. Gli ebrei di lingua greca cominciarono a chiamare questa festa Pentecoste ed è con questo nome che è entrata nella tradizione e il culto cristiano.
Per noi cristiani la Pentecoste rappresenta la logica ed aspettata conclusione del messaggio della Risurrezione. Il tempo più adatto per la venuta dello Spirito Santo era quello che seguiva l’Ascensione di Gesù al cielo: [7]Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. (Giovanni cap. 16). Con il vento ( in greco pneuma significa sia vento sia Spirito) forte ed irresistibile che si abbatte sulla casa dove sono riuniti gli Apostoli si manifesta lo Spirito Santo forte ed irresistibile, capace di superare ogni ostacolo e barriera. Non si vede, non si sente, non odora, eppure alla sua forza nessuno si può opporre. Può essere il vento violento come quello che si abbatté nella casa dove erano riuniti gli Apostoli, ma può essere anche “ un vento leggero. [13]Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.”(1Re cap. 19)
[4]ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. (Atti cap. 2) Avviene l’esatto contrario di quello che avvenne ai costruttori della torre di Babele: Cercarono di costruirsi una torre per dare la scalata al cielo e finirono per non capirsi più fra loro, mentre gli Apostoli sotto l’azione dello Spirito Santo parlano lingue diverse e ciò dà loro l’opportunità di farsi capire. Con l’aiuto dello Spirito Santo il messaggio di Gesù è arrivato fino agli estremi confini della terra in ottemperanza al comando del Signore Gesù: (Marco cap. 16) [15]Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.
Lo Spirito Santo non si lascia ridurre ad una definizione o ad una descrizione; se ne possono constatare solo gli effetti. I Padri della Chiesa per primi, ed in seguito teologi ed esegeti, hanno scritto trattati e pronunciato memorabili omelie sullo lo Spirito Santo, ma limitandosi sempre ad una descrizione del tutto insufficiente. - (E come potrebbero altrimenti?!) - E’ come il vento impalpabile, lo senti passare, ne subisci gli effetti, ma non puoi né arrestarlo, né contenerlo; passa e va e non sai dove. E’ stato paragonato, oltre che al vento, al fuoco, all’acqua, alla luce ma ogni paragone, ogni tentativo di definizione risulta riduttiva, incompleta e parziale. Pur essendo unico ed indivisibile lo Spirito Santo produce effetti molteplici, suscita carismi differenti l’uno dall’altro [7]E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: (1Corinzi cap. 12).
“Semplice nell’essenza, e molteplice nei poteri, è presente ai singoli nella sua totalità ed è contemporaneamente e tutto dovunque.”. (S. Basilio Magno – Su lo Spirito Santo -). Non lo vediamo, ma gli effetti sono sorprendenti. Guardiamo cosa è successo agli Apostoli. Erano paurosi ed insicuri e sotto l’azione dello Spirito Santo sono diventati sicuri di sé, intraprendenti, coraggiosi fino alla temerarietà sfidando quel Sinedrio che aveva condannato a morte il Maestro, eroici al punto di affrontare il martirio con animo sereno. Erano poveri pescatori galilei avvezzi più a tirare e rassettare reti che esperti di retorica, ma divenuti capaci di confondere persone sapienti e use a discutere. Erano poco esperti di lettere - forse sapevano appena leggere – ma hanno scritto delle lettere che ancora noi leggiamo dopo 2000 anni.
Se noi parliamo dello Spirito Santo senza sentirci personalmente coinvolti è come se stessimo descrivendo un bel quadro che neppure ci appartiene. Noi abbiamo incontrato lo Spirito Santo al momento del Battesimo e ci è stato confermato col sacramento della Confermazione. Esso è stato vicino a noi indicandoci le scelte da fare, spingendoci all’azione. Quando ho preso moglie e figli e li ho portati in Israele credevo di avere fatto una scelta autonoma. Come quando ho voluto approfondire certe curiosità sulla Parola che mi erano venuti in Israele, ho creduto fossero frutti della mia curiosità. Così pure quando ho smesso di interessarmi d’altro per conoscere e approfondire la Parola di Dio. Oggi, e non solo da oggi, mi accorgo dietro c’era sempre lo Spirito Santo che mi ha guidato, mi ha spronato, ha acceso la mia sete e la mia fame della Parola del Signore, il che equivale a dire fame e sete di Dio. Sono stato coinvolto in prima persona; e non solo io: tutti siamo consciamente o inconsciamente coinvolti. Grazie, Signore!

PENTECOSTE

PENTECOSTE
23- 05 – 10
(Atti cap. 2) [1]Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. [2]Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. [3]Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; [4]ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi.
[5]Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. [6]Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. [7]Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? [8]E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? [9]Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, [10]della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, [11]Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio».
(Romani cap. 8) [8]Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.
[9]Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. [10]E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. [11]E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. [12]Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; [13]poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete. [14]Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. [15]E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». [16]Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. [17]E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
(Giovanni cap. 14) [15]Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. [16]Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. [24]Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. [25]Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. [26]Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Shavuot è la festa biblica della mietitura in cui si celebra il Dono della Torah sul monte Sinai, l'evento più significativo della storia ebraica. Nel 2010 Shavuot inizia al tramonto del 18 maggio e si conclude al tramonto del 20 (in diaspora).[ Da un sito web dei giudei-messianisti]
La festa di Pentecoste è una delle tre feste dell’A.T. nelle quali il Signore aveva comandato che si facesse il pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme. Questa festa che gli ebrei chiamano Shavu’oth ( settimane) ebbe agli inizi come motivo la mietitura dell’orzo e la chiamarono la festa della mietitura, ma in seguito la associarono alla consegna della Legge sul Sinai perché come la festa delle settimane cadeva cinquanta giorni dopo la festa di Pasqua, così la Legge fu consegnata loro dopo sette settimane (cinquanta giorni) dall’uscita dall’Egitto. Gli ebrei di lingua greca cominciarono a chiamare questa festa Pentecoste ed è con questo nome che è entrata nella tradizione e il culto cristiano.
Per noi cristiani la Pentecoste rappresenta la logica ed aspettata conclusione del messaggio della Risurrezione. Il tempo più adatto per la venuta dello Spirito Santo era quello che seguiva l’Ascensione di Gesù al cielo: [7]Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. (Giovanni cap. 16). Con il vento ( in greco pneuma significa sia vento sia Spirito) forte ed irresistibile che si abbatte sulla casa dove sono riuniti gli Apostoli si manifesta lo Spirito Santo forte ed irresistibile, capace di superare ogni ostacolo e barriera. Non si vede, non si sente, non odora, eppure alla sua forza nessuno si può opporre. Può essere il vento violento come quello che si abbatté nella casa dove erano riuniti gli Apostoli, ma può essere anche “ un vento leggero. [13]Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.”(1Re cap. 19)
[4]ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. (Atti cap. 2) Avviene l’esatto contrario di quello che avvenne ai costruttori della torre di Babele: Cercarono di costruirsi una torre per dare la scalata al cielo e finirono per non capirsi più fra loro, mentre gli Apostoli sotto l’azione dello Spirito Santo parlano lingue diverse e ciò dà loro l’opportunità di farsi capire. Con l’aiuto dello Spirito Santo il messaggio di Gesù è arrivato fino agli estremi confini della terra in ottemperanza al comando del Signore Gesù: (Marco cap. 16) [15]Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.
Lo Spirito Santo non si lascia ridurre ad una definizione o ad una descrizione; se ne possono constatare solo gli effetti. I Padri della Chiesa per primi, ed in seguito teologi ed esegeti, hanno scritto trattati e pronunciato memorabili omelie sullo lo Spirito Santo, ma limitandosi sempre ad una descrizione del tutto insufficiente. - (E come potrebbero altrimenti?!) - E’ come il vento impalpabile, lo senti passare, ne subisci gli effetti, ma non puoi né arrestarlo, né contenerlo; passa e va e non sai dove. E’ stato paragonato, oltre che al vento, al fuoco, all’acqua, alla luce ma ogni paragone, ogni tentativo di definizione risulta riduttiva, incompleta e parziale. Pur essendo unico ed indivisibile lo Spirito Santo produce effetti molteplici, suscita carismi differenti l’uno dall’altro [7]E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: (1Corinzi cap. 12).
“Semplice nell’essenza, e molteplice nei poteri, è presente ai singoli nella sua totalità ed è contemporaneamente e tutto dovunque.”. (S. Basilio Magno – Su lo Spirito Santo -). Non lo vediamo, ma gli effetti sono sorprendenti. Guardiamo cosa è successo agli Apostoli. Erano paurosi ed insicuri e sotto l’azione dello Spirito Santo sono diventati sicuri di sé, intraprendenti, coraggiosi fino alla temerarietà sfidando quel Sinedrio che aveva condannato a morte il Maestro, eroici al punto di affrontare il martirio con animo sereno. Erano poveri pescatori galilei avvezzi più a tirare e rassettare reti che esperti di retorica, ma divenuti capaci di confondere persone sapienti e use a discutere. Erano poco esperti di lettere - forse sapevano appena leggere – ma hanno scritto delle lettere che ancora noi leggiamo dopo 2000 anni.
Se noi parliamo dello Spirito Santo senza sentirci personalmente coinvolti è come se stessimo descrivendo un bel quadro che neppure ci appartiene. Noi abbiamo incontrato lo Spirito Santo al momento del Battesimo e ci è stato confermato col sacramento della Confermazione. Esso è stato vicino a noi indicandoci le scelte da fare, spingendoci all’azione. Quando ho preso moglie e figli e li ho portati in Israele credevo di avere fatto una scelta autonoma. Come quando ho voluto approfondire certe curiosità sulla Parola che mi erano venuti in Israele, ho creduto fossero frutti della mia curiosità. Così pure quando ho smesso di interessarmi d’altro per conoscere e approfondire la Parola di Dio. Oggi, e non solo da oggi, mi accorgo dietro c’era sempre lo Spirito Santo che mi ha guidato, mi ha spronato, ha acceso la mia sete e la mia fame della Parola del Signore, il che equivale a dire fame e sete di Dio. Sono stato coinvolto in prima persona; e non solo io: tutti siamo consciamente o inconsciamente coinvolti. Grazie, Signore!

martedì 11 maggio 2010

ASCENSIONE

VII DOMENICA DI PASQUA
ASCENSIONE
16 MAGGIO 2010-
(Atti cap. 1,1-11) - (Ebrei cap. 9,24-28; 10,19-23) - (Luca cap. 24,46-53) Gesù Cristo ascende al cielo per aprire, anzi spalancare, quelle porte del paradiso che furono chiuse nel giorno della grande ira del Signore. Come il Gran Sacerdote dell’A.T. attraversava una volta l’anno, il giorno della espiazione, il velo che separava il Sancta Sanctorum dal Tempio, così Cristo è passato attraverso il velo del suo sangue non per entrare in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, (Ebrei 9,24) L’Ascensione di Nostro Signore è stata raccontata dagli evangelisti i modi diversi, densi di simbolismi e mistero. Innanzi tutto il Vangelo, e tutta la Sacra Scrittura, non sono dei trattati di storia e cercano di raccontare con parole umane ciò che si percepisce più con il cuore che con la mente o con i sensi. Staccarci dalla materialità della nostra realtà non è facile, ma accettare la limitatezza delle nostre facoltà mentali è il primo passo della fede per riporre ogni fiducia in Dio.
Gesù, nato dalla Vergine Maria, costituito di capo e corpo, è asceso al cielo dove siede alla destra del Padre. Nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni leggiamo che chiede al Padre che, come lui e il Padre sono una cosa sola, così noi, credenti in lui, siamo una cosa con lui e con il Padre. Gesù come Figlio generato, “non creato”, noi come figli per adozione, secondo anche la preghiera con la quale ci ha insegnato a rivolgerci a Dio chiamandolo Padre.
Gesù è sceso sulla terra assumendo un corpo carnale soffrendo fame, sete, dolore, commuovendosi e ridendo, piangendo, soffrendo angoscia, paura, umiliazione, disprezzo passione, morte ed ora ascende al Cielo, ritorna al Padre, con la materialità della nostra natura umana. Ora in quella dimora divina, dove c’erano solo puri spiriti (Dio Padre unito al Figlio nell’amore attraverso lo Spirito Santo, e gli angeli anche essi puri spiriti) c’è anche il corpo di Cristo Risorto trionfante sulla morte.
Noi rimaniamo nel mondo, dopo l’Ascensione di Gesù, pur non appartenendo al mondo, per nostra scelta perché crediamo in Lui e nel Padre che l’ha mandato. (Giovanni cap. 17) [16]Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Noi nel mondo costituiamo la sua Chiesa, siamo le membra di essa, ed il capo è in Cielo. Dal Cielo egli, Gesù, ci conforta e illumina mediante l’azione dello Spirito Santo, aiutandoci a sopportare le difficoltà della vita, come ha fatto Lui, specialmente nella sua Passione e morte sulla croce.
Pur essendo asceso al cielo Gesù è sempre presente tra noi, secondo la sua promessa di non abbandonarci. E’ il Mistero. Anche noi dobbiamo sforzarci di attraversare il velo del nostro raziocinio, di voler capire e darci ragione di tutto, e approdare nel “regno” della fede, dove tutto è rimesso nelle mani di Dio e di suo Figlio Gesù Cristo.
(Giovanni cap. 17,21b) Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” prosegue la preghiera “sacerdotale” del cap. 17 del Vangelo di Giovanni. Gesù è asceso al Cielo per mantenere fede alla sua promessa e realizzare quello che era un auspicio della sua preghiera su questa terra: fare di noi una cosa solo con Dio e col suo Figlio, un giorno in Paradiso. Già oggi ci consideriamo, e siamo, della stessa famiglia di Gesù e familiari di Dio, perché la Chiesa è Santa ed Immacolata, cioè senza peccato, pur essendo costituita di peccatori. Il peccato passato, presente e futuro, cioè il nostro, è rimasto appeso a quella croce piantata sul Golgota sulla quale è stato pagato da Gesù il debito da noi contratto.
(1Giovanni cap. 2) [1]Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Gesù intercede per noi presso il Padre in ogni momento ed in ogni circostanza, purché ci sia in noi il doveroso pentimento dell’errore commesso. E’ questa la redenzione fatta da Gesù a nostro favore: il peccato, qualsiasi peccato, sarà rimesso e perdonato di fronte al pentimento del peccatore. Pentimento vero, sincero: nessuno pensi di fare il furbo con Dio.
Perché? A che pro? Cosa ci si guadagna? La felicità in questa vita e, in seguito, la vita eterna. Dice Gesù: [13] perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. (Giovanni cap. 17) E aggiunge Gesù pregando per gli Apostoli, e anche per noi: [11]Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. (Giovanni cap. 17) . [51]Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. [52]Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; [53]e stavano sempre nel tempio lodando Dio. “con grande gioia” . La gioia del Figlio che andava al Padre aveva contagiato anche loro e se ne ritornarono a casa pieni gioia pur prevedendo che nessuno di loro sarebbe morto nel proprio letto, di morte naturale, di vecchiaia. Come puntualmente avvenne, per la loro gloria.

lunedì 3 maggio 2010

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C

Giovanni cap. 14 [23]Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. [24]Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
[25]Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. [26]Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. [27]Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dá il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. [28]Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. [29]Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate.

Sono gli addii e le ultime parole che Gesù scambia con i suoi discepoli più stretti e fedeli, gli apostoli. Li rincuora e ricorda loro le promesse: che non resteranno soli perché il Padre invierà loro il Consolatore, lo Spirito Santo che farà loro chiara ogni cosa. Il compito dei seguaci di Gesù, allora e ancora di più oggi, sarà quello di amare Lui e di conseguenza il Padre, che è più grande di Gesù.
E’ un discorso chiaramente Trinitario: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio, il Padre, è quell’Essere Perfettissimo che non può essere contenuto dalla nostra mente. L’uomo è capace di concepire e contenere nella propria mente quello che lui ha progettato. Se ha concepito e progettato un grattacielo altissimo, il più alto del mondo, quel grattacielo, per quanto grande e complesso può essere ed è contenuto nella sua mente. Egli sarà più grande del grattacielo da lui costruito. Dio ha costruito, ha creato dal nulla, tutto l’universo e Lui è più grande dell’universo da Lui creato. A noi l’universo si presenta senza limiti, infinito, ma per Dio, per Lui è finito, ha un limite: non può essere altrimenti. Se pensiamo l’universo infinito, facciamo dell’universo un dio, oppure identifichiamo Dio nell’universo; che è la stessa cosa. Confondiamo il Creatore con la sua creatura.
Si crede che questo sia avvenuto circa quattro miliardi di anni fa solo perché la luce della stella più lontana dalla terra impiega quattromiliardi di anni-luce per arrivare fino a noi. Sono distanze nelle quali la mente dell’uomo ci si perde: troppo grandi esse sono. Ebbene il Creatore di questo creato non può essere inferiore alla sua creatura, all’Universo, di cui l’uomo non è, fisicamente parlando, che un’infinitesima parte, pertanto come può pensare di concepire Dio se non attraverso il Figlio? Gesù, il Figlio unigenito, Dio stesso, ha assunto la natura umana per la nostra redenzione certamente, ma anche perché così ci ha anche dato un punto di riferimento concreto, fisico, umano cui fare riferimento per avvicinarci a Dio, con la mediazione dello Spirito Santo. Per semplificare. Gesù è il Verbo di Dio, la Parola incarnata e lo Spirito Santo è la luce che illumina i nostri cuori e la nostra mente.
Gesù, nella preghiera che ci ha insegnato, ci ha detto di rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”: Padre nostro che sei nei cieli… Lui è il Figlio Diletto e autorizzando anche noi a chiamarlo “Padre”, anzi Papà, ci ha fatto suoi fratelli e figli adottivi del Padre. Gesù, dopo la sua passione e morte, è risuscitato e asceso al cielo dove siede alla destra di Dio Padre onnipotente. Gesù è risuscitato come uomo, non come Dio che non poteva morire, e la natura umana di Gesù è ora a fianco al Padre nella gloria dei cieli. La natura umana, se non proprio con le sue molecole, con i suoi atomi e i suoi elettroni, per dire in un modo a noi sconosciuto, è presente presso “Colui che tutto può”. Questa realtà sovrannaturale, dobbiamo ammetterlo, mette un po’ i brividi.
La promessa più grande che Gesù ci ha lasciato è proprio quella che sarà con noi sempre, che non ci abbandonerà, anzi manderà a noi il suo Spirito Consolatore che ci farà chiara ogni cosa affinché non ci si smarrisca. Ci chiede solo di amarlo, di amarlo nei nostri fratelli, di amarlo nelle difficoltà della vita, di amarlo comunque e sempre. Allora Lui ed il Padre verranno e prenderanno dimora in noi. L’Eucaristia che ci è concesso di prendere è il modo tangibile della sua venuta a noi.

lunedì 26 aprile 2010

TEMPO DI PASQUA

V° DOMENICA DI PASQUA
2 MAGGIO 2010
(Giovanni cap. 13) 31]Quand'egli fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. [32]Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. [33]Figlioli, ancora per poco sono con voi; [34]Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. [35]Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».
Questo brano del Vangelo di Giovanni, a leggerlo tenendo presente quello che ci ha insegnato il mondo, è sconvolgente. Sconvolgente nel vero senso della parola: ci sconvolge. Questa affermazione di Gesù è incredibile, umanamente parlando. Ma come? Giuda è appena uscito e con lui satana, ed “era notte”, e Gesù dice che “il Figlio dell’uomo”, cioè lui, è stato glorificato. Giuda, uno dei suoi amici più cari sta per consegnarlo ai suoi nemici che lo metteranno a morte, e Lui dice: “ sono glorificato”. Non solo: ” e anche Dio è stato glorificato in lui”. Evidentemente il concetto che noi ci siamo fatti della gloria è errato. Dopo qualche ora dagli avvenimenti narrati in questo brano, Gesù affronterà la sua passione, la tremenda esperienza subita nell’orto del Getsemani e poi la croce e dice che Dio è stato glorificato in lui. Ma allora la gloria non è nel soddisfacimento delle esigenze del corpo, anche se legittime, ma è altrove. Forse è proprio in quelle situazioni, da noi tanto deprecate e rifuggite come la sofferenza, la malattia, persino la morte, che risiede la vera gloria, ciò di cui ci si possa vantare.
(Salmo 23) [4]Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.

La “valle oscura” del salmista è la valle della morte, è la morte stessa. Ma neppure di quella devo avere paura “perché tu sei con me”. In ogni prova, in ogni sofferenza il Signore è con me per consolarmi, per sostenermi, per ricordarmi le sue promesse.
Certo nel lunghissimo, interminabile momento della sofferenza tutto sembra buio, ma è anche il tempo della riflessione, del guardarsi dentro, di esaminarsi a fondo, per autoconoscersi intimamente e stilare una scala di valori, vedere cosa è importante e cosa lo è di meno o cosa non ha valore alcuno.
Naturalmente tutto ciò è quella che, con una brutta e deprecabile espressione, definiamo una rivoluzione copernicana: ha valore quello che sembrava un non valore. Non è facile accettarlo, ma è necessario rivedere la nostra scala di valori.
Il Signore Gesù nello stesso brano che la liturgia ci ha proposto ce ne dà la chiave, quando dice: ”[34]Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.”.
Gesù, lo sappiamo, ci ha amati fino a dare la sua vita per noi; e noi dobbiamo fare altrettanto. Non capisco? Io devo amare. Ho difficoltà? Io devo amare. Mi costa sacrificio? Io devo amare. E’ contro il mio istinto? Io devo amare.
Amare, amare, amare sempre.

mercoledì 14 aprile 2010

III°DOMENICA DI PASQUA

III° DOMENICA DI PASQUA ANNO C
18 – 04 – 2010
(Giovanni cap. 21) [1]Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: [2]si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. [3]Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
[4]Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. [5]Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». [6]Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. [7]Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. [8]Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
[9]Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. [10]Disse loro Gesù: «Portate un pò del pesce che avete preso or ora». [11]Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. [12]Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore.
[13]Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. [14]Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
[15]Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». [16]Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». [17]Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. [18]In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». [19]Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi»
La Santa Liturgia questa domenica ci propone di riflettere sulla manifestazione di Gesù ad un gruppo di Apostoli sul lago di Tiberiade. Dice il Vangelo di Giovanni che questa era la terza volta che il Signore Risorto appariva ai discepoli. Nonostante il Signore fosse apparso loro la sera stessa della Risurrezione e otto giorni dopo, il loro animo non era certamente molto rinfrancato. La decisione di Simon Pietro ”Io vado a pescare” non mi sembra l’espressione di un pescatore di professione che, dopo un certo intervallo, riprenda la propria attività lavorativa, ma piuttosto di quello che ha il desiderio di allontanarsi da pensieri e problemi che lo angosciano distraendosi facendo l’attività che sa fare e che ha sempre fatto; nel caso specifico di Simon Pietro andando a pescare. E gli altri discepoli che erano con lui non è che se la passassero molto meglio, da un punto di vista psicologico. Comunque all’alba uno sconosciuto sulla riva del lago li interpella chiedendo se avevano qualcosa da mangiare. Alla loro risposta negativa li invita a gettare la rete alla destra della barca e così presero una quantità di pesci tali da mettere in pericolo la solidità della rete. Giovanni, memore di quell’altra volta che il Signore li aveva invitati a gettare la rete e avevano preso un’enorme quantità di pesci (Lc. 5,4-10), e ricordandosi delle tracce lasciate nel sepolcro dalla Risurrezione di Gesù, afferma sicuro: ”E’il Signore”. Pietro non aspetta di arrivare a riva per andare incontro al Signore, ma si butta in acqua così come era. L’aveva rinnegato tre volte, ora non lo farà più, anzi, come pulcino impaurito, corre a rifugiarsi sotto le ali protettrici di Gesù. Sulla riva trovano un fuoco acceso e sulle braci del pane e dei pesci. Il Signore può pescare anche senza l’aiuto, certamente importante, ma non determinante, dell’uomo. E Gesù apprezza anche l’opera dell’uomo tanto che invita a portare anche dei pesci appena da loro pescati. Pietro, sia come padrone della barca e sia per insolito zelo spinto dal desiderio di riscatto, corre a prenderli dalla barca: 153 grossi pesci. Su questo numero gli esegeti si sono sbizzarriti con la fantasia: chi vuole vedervi il numero dei popoli allora conosciuti, centocinquantatre; chi fa cento i popoli + cinquanta Israele + la Trinità; ecc. Quello che è certo che era veramente una bella pesca che si può fare comunque solo con Gesù: senza non si prende nulla.
Certamente i dubbi, i timori, le perplessità che avevano, quando decisero di andare a pesca, con la sua presenza Gesù li ha totalmente fugati e dopo giorni di angosce e paure accanto al Signore ritrovano la serenità. Tre furono i rinnegamenti di Pietro e tre sono le domande che il Signore Gesù pone a Simon Pietro per dargli l’incarico di pascere le SUE pecore. Il gregge affidato a Simon Pietro è il gregge di Gesù e Pietro le deve solo pascere e custodire. E’ curioso notare i verbi usati da Gesù e quelli usati da Simon Pietro nelle sue risposte. Per due volte Gesù il verbo agapào “αγαπάω” che significa “amare”, ma che viene abitualmente tradotto “carità” significando un amore totalizzante, senza contropartita. E’ strano, ma Pietro risponde sempre “filò se”- “φιλώ σε” -, “ ti amo”, cioè usa un verbo di amicizia, di simpatia, ma non lo stesso verbo di usato da Gesù per due volte. Alla terza Gesù si arrende e usa lo stesso verbo usato da Simon Pietro: “filèis me?”- φιλέις με?- . Come leggere questo fatto? Forse l’uomo non è capace di dare tutto. Il Signore lo sa, lo ha sempre saputo fin dalla alleanza con Abramo, quando giurò solo il Signore e non fece giurare Abramo per non farlo diventare spergiuro. ( Genesi 15,1-21) Eppure, Signore,… Eppure, Signore,... Eppure. Signore, siamo tue creature e figli tuoi; abbi pietà di noi.

giovedì 8 aprile 2010

OTTAVA DI PASQUA

Chiedo scusa se questa settimana non pubblico il mio commento al vangelo perché ho occupato tutto il tempo a cercare articoli sulla Risurrezione. Devo constatare la diffusa mancanza di fede a riguardo e il costante tentativo di negarla avvolgendola nel “mito” (Bultmann) o inserendola in una visione di ideologia filosofica (Hegel) o di strutturalismo etnico ecc. Devo confessare che ne sono rimasto sconvolto, anche perché a questa corsa al massacro partecipano uomini di Chiesa che, nel tentativo di voler spiegare all’incredulo uomo moderno con parole moderne la Risurrezione, finiscono sostanzialmente per negarla. Negando la Risurrezione, come conseguenza ovvia, si nega anche la incarnazione, quindi di Gesù rimane solo la figura di una bravo e saggio uomo vissuto duemila anni fa di cui rimane traccia in certi libri che raccontano certi suoi detti e fatti. Cioè non c’è Rivelazione. Non c’è rivelazione perché tutto è iscritto nella nostra coscienza profonda e si tratta solo di tirarla fuori; e sarebbe questo che ha fatto Gesù; cioè né più e né meno che un altro Socrate. Fortunatamente senza Santippe!
Capite bene in quale abisso di orrore sono andato a ficcare il naso.
Ci vediamo la prossima settimana.

mercoledì 31 marzo 2010

E' LA PASQUA DI RISURREZIONE DEL SIGNORE

La prossima domenica è la Pasqua della Risurrezione del Signore e io dovrei scrivere, dire il mio pensiero in proposito, ma la Pasqua, e quindi la Resurrezione, è un avvenimento troppo grande perché io possa dire qualcosa in proposito; per vari motivi. Prima di tutto, come dicevo prima, è troppo grande per me e inoltre oggi, mercoledì, alla vigilia del triduo pasquale avvolto, circondato dominato dagli avvenimenti non facilmente rimuovibili dalla mente di quelli che sono gli accadimenti della Passione di nostro Signore, trovo difficile immaginare la Pasqua. Essa, la Pasqua, la Risurrezione mi sembra così lontana, così poco immediata che non riesco ad immedesimarmi in essa e dire delle sensazioni che questa sicuramente provocherà. E’ come la primavera dei paesi freddi, delle zone fredde del nostro emisfero, che, mi dicono gli amici che l’hanno sperimentata, arriva all’improvviso: vai a letto d’inverno e, svegliandoti la mattina dopo ti accorgi che è primavera. Così è per me la Pasqua, arriva sempre improvvisa e, quasi, non ancora attesa. Comunque
BUONA PASQUA

lunedì 22 marzo 2010

VI DOMENICA DI QUARESIMA - DOMENICA DELLE PALME

La quaresima si avvicina alla fine e già, anche col ritorno della primavera, si pregusta la Pasqua, la Risurrezione di Gesù e la rinascita nostra. Però non ci può essere Risurrezione senza passare attraverso il Getsemani, il Golgota e la Croce di Cristo. Per cercare di essere vicini a Gesù durante la sua Passione ho pensato di inserire queste mie riflessioni sulle sofferenze di Cristo. Auguro a tutti una Buona Pasqua cristiana. Che il Signore ci benedica.

Gesù Crocifisso
Riflessioni
Uno dei ricordini, “souvenir”, per così dire, che mi sono portato dalla Croazia, quando ho visitato il santuario di Merjiugorie, è l’abitudine di recitare sette “Padre Nostro”, sette “Ave Maria” e sette “Gloria” seguiti dalla recita del Credo. Spesso faccio questa preghiera mentre cammino per strada, in viaggio o nei momenti in cui mi annoio: così unisco l’utile a dilettevole. Così facendo mi sembra di accompagnarmi a Gesù Crocifisso e di sentirmi meno solo. So che Gesù è, se io lo chiamo, sempre al mio fianco, ma in questo modo mi accompagno a Lui più intensamente. Allo scopo di contare tutte queste preghiere ripetitive e sostanzialmente noiose in quanto sempre uguali e monotone, ho preso l’abitudine di pensare al Cristo Crocifisso enumerandone via - via le piaghe.
Un’altra preghiera che recito spesso, specie dopo la Comunione, è quella di San Bonaventura (da Civita di Bagnoregio). In essa si dice: “ ....... vado considerando le Vostre cinque piaghe.......”. Ma la recita della preghiera croata prevede sette passaggi. Allora mi sono cercato altre due piaghe di Nostro Signore: e non ne mancano a chi le voglia cercare.
Col primo “passaggio”, cioè con la recita dei primo ”Padre, Ave e Gloria”, concentro la mia attenzione sulla corona di spine posta sul capo di Gesù. (Matteo cap. 27)29]e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra La testa del Figlio di Dio, degna più di tutti a portare la corona di Re, umiliata e ferita dalle spine di una corona intrecciata dalla soldataglia per scherno! Il Creatore del mondo torturato dalle sue stesse creature con un arbusto da lui creato per amore di quelle stesse creature!! La derisione di Gesù nel racconto della flagellazione non fu un fatto occasionale, un avvenimento superfluo ed ininfluente nel racconto della passione, esso fu voluto, quasi studiato in ogni particolare, programmato quasi in modo scientifico ed attuato in modo da umiliare il Figlio di Dio, per decretarne agli occhi del mondo la sua sconfitta e la sua inconsistenza. “Altro che Figlio di Dio”, sembravano dire, “è un povero illuso e scemo che si è messo in testa delle idee e dei progetti più grandi di lui. Guardatelo ora!!” Re per burla, lo proclamano i soldati dopo che Erode lo aveva dichiarato un buffone, un uomo da burla(Luca cap. 23)[11]Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In modo quasi scientifico, dicevamo. E certamente sa di studio psicologico il colpire la sede dell’intelligenza, il posto dove si generano le idee: colpire la mente è annullare l’uomo, renderlo un nulla. E questo era lo scopo nascosto nel mettere sulla testa del Re dei Re quella corona: annullarlo in modo totale, privandolo del senno. La corona di acanto (acanto in greco significa spina) di per sé può non essere una tortura insopportabile, ma se su di essa vi si percuote con una canna, ecco che le spine penetrano nel cuoio capelluto e nella cute procurando sicuramente un dolore intenso e tormentoso; oltre alla fuoriuscita di sangue che gocciolando sugli occhi procuravano un ulteriore motivo di sofferenza a causa delle mani legate e quindi della impossibilità di detergerlo. Per un uomo poi che non aveva praticamente dormito l’intera notte precedente, che aveva le mani legate dietro la schiena, stordito dalla flagellazione subita e dai colpi in testa, pugni, schiaffi che i soldati non gli risparmiavano, questa corona doveva pesare come una montagna su di Lui. E tutto questo se si considera solo la natura umana di Gesù, senza includere la natura divina di Lui.
Nel secondo passaggio cerco di concentrarmi sulla flagellazione e sui pugni, sui calci ma soprattutto sulla flagellazione subita da Nostro Signore.
(Matteo cap. 27)[26]Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
(Marco cap. 15)[15]E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
(Giovanni cap. 19)[1]Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare.
Come avveniva la flagellazione? Poteva essere flagellato uno condannato dal giudice alla pena di morte. Ma mentre il cittadino romano veniva flagellato con le verghe , per lo straniero veniva usato il flagello. Per la flagellazione il condannato veniva spogliato delle vesti, legato ad un palo o ad una colonna e fustigato da più persone, spesso fino a che le sue carni cadevano a brandelli. La flagellazione stessa era talvolta causa di morte. Il flagello erano delle strisce di cuoio cui in cima alle strisce di cuoio erano legati degli ossicini o dei pezzi di piombo. Ma non basta. Lo riempirono pure di botte, tanto da provocargli ecchimosi e la frattura del naso come attesta la Sindone, ammesso che sia essa il lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Gesù. La stessa Sindone ci informa pure dei segni lasciati sulle spalle dai colpi di scudiscio. (Marco cap. 14)I servi intanto lo percuotevano… (Matteo cap. 26)[67]Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, (Luca cap. 22) [63]Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, [64]lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?». Nota a Lc. 22,64 “Gesù ha il volto coperto da un velo, perché gli oltraggi diventino in Lc un gioco a indovinello, molto conosciuto nel mondo antico e in tutti i tempi.”

Tutte queste torture inflitte a Gesù, insieme con la angoscia mortale del Getsemani e la notte insonne, furono, probabilmente, la causa della sua estrema debolezza e la incapacità di portare la croce, fosse pure solo la parte orizzontale di essa, chiamata pathibulum. Ogni condannato doveva portare con sé la parte orizzontale della croce, mentre la parte verticale di essa era fissa sul luogo del patibolo e veniva usata per più esecuzioni. Il condannato spesso era stremato dalle torture subite e non era in grado di portare il pathibulum. In questa evenienza ai soldati era consentito ordinare ( e l’ordine doveva essere prontamente eseguito) ad uno dei curiosi, che non mancavano a questi spettacoli, di caricarsi l’asta della croce fino al luogo della crocifissione. Gesù era, come uomo, ormai distrutto, fisicamente persino incapace di reggersi in piedi tanto da costringere i soldati a requisire un passante, Simone di Cirene, a portare lui la trave fino al Golgota. Gesù era talmente debole e sfinito che i soldati lo dovettero portare, forse quasi di peso ( Il verbo greco usato dall’Evangelista è fero, che significa portare.) In parole povere Gesù fu vittima di una violenza oggi inconcepibile: noi non riusciamo neppure ad immaginare, nel nostro mondo odierno, violento per altri versi, ma in certo qual modo umanitario, un comportamento così violento ed inumano e per di più rispettoso della legalità. Sì, perché il tutto avvenne nel rispetto della più scrupolosa legalità. Il procuratore romano aveva sostanzialmente diritto di vita e di morte su tutti i cittadini a lui sottoposti. Ponzio Pilato è stato accusato di molti crimini ma non di avere illegalmente condannato a morte Gesù o qualche altro.
Nel terzo passaggio concentro la mia attenzione sull’atto della crocifissione, cominciando dall’inchiodamento della sua mano sinistra al legno della Croce. Innanzi tutto, prima di essere fatto sdraiare con le braccia distese sul pathibulum, Gesù fu privato delle sua vesti. Il condannato alla crocifissione veniva denudato, prima di essere appeso. Gesù, quindi, fu spogliato. Sembrerebbe un atto da poco, soprattutto in questi tempi in cui per la moda più che vestirci ci denudiamo, specialmente il, così detto, sesso debole. Ma proviamo ad immaginarci i sentimenti di chi viene spogliato in pubblico, davanti a tutti, privo di vestiti di fronte ad una folla certamente ostile!! Gesù venne privato della sua dignità di uomo! Vestito puoi essere qualcuno , ma privato dei vestiti hai la sensazione di essere solo un verme, non hai più difesa, sei totalmente in balìa dei tuoi aguzzini. Se conservi ancora un briciolo di dignità, nudo in pubblico sei privo di ogni difesa: non sei più un uomo, sei solo una cosa. E questo lato della psicologia dell’uomo ben la conoscevano i nazisti nei campi di sterminio dove per prima cosa facevano denudare gli ebrei al fine di fiaccare in loro ogni residuo sentimento di orgoglio e di dignità: peggio di questo c’è solo la morte e per questo, dopo questo trattamento, ogni resistenza spariva. E, forse, si cominciava a vedere la morte come una liberazione.
Ma torniamo ora all’atto dell’ “inchiodamento”. Gesù fu fatto sdraiare supino per terra con le mani distese sul Pathibulum, come abbiamo già detto. Uno dei carnefici inchiodava il polso del condannato al legno, dopo averglielo legato per evitare che spostasse il braccio. Sembra semplice, ma non lo è. Innanzi tutto veniva inchiodato il polso e non il palmo della mano perché questa si sarebbe lacerata sotto il peso stesso del condannato. Inoltre essendo il chiodo lungo circa 18 cm. ed, essendo fatto alla forgia, non era certamente liscio, ma di sezione quadrangolare, ruvido, appuntito con una grossa testa per essere facilmente colpito dal grosso martello usato dal carnefice. (Ho sotto gli occhi la figura di un uomo inginocchiato con in mano un grosso martello che, con evidente forza e decisione, pianta un chiodo sul legno. Forse questa figura mi viene da un quadro di un pittore fiammingo ed in cui il personaggio non sta inchiodando un condannato, ma amo pensare che colui che piantò in chiodi a Gesù avesse lo stesso atteggiamento di totale dedizione al proprio lavoro, di eseguire tale operazione con il dovuto e professionale impegno, senza risparmiarsi. E tale doveva essere l’impegno nel lavoro degli aguzzini di Gesù).
Dopo il polso sinistro, quello destro. Il polso destro è il quarto momento di riflessione. Per quanto sfinito ed esausto Gesù non era certamente del tutto insensibile e quel chiodo che penetrava lentamente ad ogni colpo di martello nelle sue carni, non poteva non provocare un dolore straziante. Solo l’immenso amore che Gesù portava al Padre, la sovrannaturale obbedienza di figlio, potevano fargli sopportare questo dolore fisico e non solo. Lui si era volontariamente caricato dei peccati dell’umanità e senza un lamento, “come pecora condotta al macello”, si lasciava crocifiggere. Si lasciava volontariamente crocifiggere. Se un uomo subisce passivamente un atto violento, o comunque spiacevole, non potendolo evitare compie una atto meritorio, ma se lo subisce potendolo evitare…… E Gesù, il Figlio di Dio incarnato, Dio stesso, poteva evitarlo, poteva mandare le legioni dei suoi angeli a salvarlo, se appena lo avesse voluto. Ma non lo VOLLE. Gesù non amava la sofferenza, ma accettava la sofferenza solo in obbedienza assoluta verso la volontà del Padre. Egli era cosciente di compiere un atto d’amore verso l’umanità condannata dal peccato, per darle un motivo di speranza ed una redenzione dalla ombra di morte che la sovrastava dal principio dei tempi. Io, insieme a tutta l’umanità peccatrice, sono quello che col martello in mano configgevo il lungo chiodo nelle carni del mio Creatore e Redentore, sono io che con i miei peccati ripetuti, come ripetuti erano i colpi di martello, l’ho crocifisso; sono io che l’ho messo a nudo per umiliarlo, per privarlo di ogni difesa.
Fissati i due polsi al legno del “Pathibulum”, bisognava innalzarlo lungo il legno verticale fino a che i piedi non toccavano più terra. Questo veniva fatto con delle corde e delle scale. Questa operazione era un altro motivo di sofferenza per il condannato che, fino a quando anche i piedi non erano fissati al legno, doveva reggere il peso del proprio corpo sui chiodi infissi nei suoi polsi. Certamente i carnefici mentre lo innalzavano da terra, lo sorreggevano per le gambe fino che anche i piedi non venivano inchiodati. A me sembra un’operazione difficile e complicata, ma, anche se fatta da mani esperte, aggravava comunque ancora di più la sofferenza. Una volta innalzato con i piedi al di sopra del suolo e inchiodati, l’operazione si poteva dire conclusa.
E’ questo il quinto momento di riflessione. I piedi venivano inchiodati separatamente o assieme. Nella mia preghiera io li considero inchiodati separatamente e ogni chiodo piantato nelle carni di Nostro Signore Gesù Cristo è, per me, un motivo di riflessione e preghiera. Penso che quei piedi che avevano percorso la Galilea e la Giudea annunziando la lieta novella ai poveri e ai diseredati, che avevano recato dappertutto conforto e amore, che erano stati a contatto della polvere delle strade e delle miserie del mondo, quei piedi ora sono immobilizzati sulla croce. Quei piedi che erano stati lavati dalle lacrime della peccatrice, che furono asciugati dai capelli di lei, ora erano bloccati affinché non potessero fare più del bene. Il mondo aveva fatto la sua vendetta del messaggio incomprensibile d’amore predicato e messo in pratica da Gesù: non poteva tollerare oltre che la sua catechesi fosse messa in dubbio e sovvertita. Nella sua cecità il mondo aveva inteso mettere a tacere quella voce, quel corpo, quelle membra.
Il sesto momento è uguale al quinto nella riflessione e considerazione di quei piedi che avevano sorretto e sostenuto umanamente il Figlio di Dio e di cui Lui si era servito per far conoscere a tutti gli uomini di buona volontà il lieto annunzio.
I condannati alla pena della croce morivano in seguito ad asfissia: il peso dei visceri addominali abbassavano il diaframma rendendo difficile la respirazione che avveniva quasi esclusivamente facendo sforzo sui muscoli intercostali. In quasi tutti i crocifissi che circolano, grandi o piccini, l’addome di Gesù appare piatto se non addirittura infossato. Penso che questa immagine non corrisponda al vero, perché i visceri addominali,nello spasmo della sofferenza, scendevano in basso riempiendo tutta la cavità pelvica e trascinando verso il basso anche il diaframma. In queste condizioni il crocifisso per respirare doveva fare affidamento esclusivamente sui suoi muscoli intercostali. Per cercare di ovviare, almeno in parte e momentaneamente, a questa “fame d’aria” il crocifisso appoggiava il peso del corpo sui piedi inchiodati riuscendo in questo modo ad inspirare ed espirare. Questo comportava, come è comprensibile, un dolore acuto e straziante sui piedi senza per questo ottenere un gran sollievo alla fame d’aria. La morte sopraggiungeva non troppo presto e avveniva o per insufficienza respiratoria o per tetanizzazione dei muscoli intercostali che affaticati e pieni di acido lattico alla fine si rifiutavano di funzionare conducendo alla morte il suppliziato. Allo scopo di impedirgli di usare l’espediente di poggiare il peso del proprio corpo sui piedi inchiodati, al condannato, allo scopo anche di abbreviare le sue sofferenze, venivano spezzate le gambe. A Gesù questo fu risparmiato, ma tutto il resto il Nostro Signore dovette sopportarlo.
Il settimo ed ultimo momento di riflessione è il colpo di lancia che gli squarciò il costato. Pure da morto ebbe a sopportare gli insulti del mondo!!! Ma il Creatore del mondo non poteva essere sconfitto e anche da morto lanciò un altro messaggio. Il colpo di lancia fece uscire sangue ed acqua. Forse da un punto di vista anatomopatologico la fuoriuscita di sangue ed acqua è giustificato dal supplizio sopportato: prima le percosse dei servi del gran sacerdote, poi la flagellazione, il percorso al Golgota, per non parlare dell’angoscia mortale del Getsemani e la notte insonne. Nell’uomo della Sindone, che se non è Gesù gli rassomiglia molto, tutti questi supplizi hanno lasciato delle tracce più che evidenti. Sono reali ed evidenti le ecchimosi per le percosse, il naso rotto, uno zigomo tumefatto, ecchimosi ed escoriazioni in tutto il corpo. Questo sangue abbondantemente effuso mi fanno pensare a quale prezzo sono stato pagato, quale è stato il prezzo del mio riscatto. E l’acqua uscita dal tuo costato, Signore mio Dio, è l’acqua del mio battesimo che mi ha consacrato a Te. Quest’acqua che non lascia in noi segni evidenti, ci ha segnati per l’eternità più ancora della circoncisione dei discendenti di Abramo. Quest’acqua che tutto lava e tutto purifica è sgorgata dal suo Corpo Santo per la nostra redenzione. E’ stata messa a nostra disposizione perché noi non si sia più lontani da Dio, ma immessi in questa acqua che ci avvolge completamente, possiamo essere diversi da quello che eravamo, non solo esternamente ma, sopratutto, spiritualmente.
Ed io Credo, Signore. La preghiera croata si termina infatti con la recita del simbolo della nostra fede, col credo.

Ho voluto raccontare fin ora delle sofferenze fisiche di Gesù, cioè della sua crocifissione. Spesso, pensando alla Passione di Cristo, ci capita di limitarla a quanto patì Gesù soprattutto dopo il suo arresto e ci dimentichiamo delle sue sofferenze prima dell’arresto, in particolare, le sue sofferenze dell’orto del Getsemani. Dobbiamo fare qualche passo indietro e precisamente alle tentazioni del deserto, dopo il battesimo di Gesù. (Lc. 4,13) “Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.” “Per ritornare al tempo fissato”, manco se dovesse riscuotere una cambiale, ecco che il diavolo si ripresenta a Gesù. Per dirgli cosa? Per dirgli: “ Ma chi te lo fa fare! Credi davvero di poter cambiare l’uomo? L’uomo è cattivo per natura e non cesserà mai di ribellarsi a te”. Che l’uomo sia continuamente attratto da male, non c’è dubbio, però ”laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm.5,20). S. Paolo ci conforta assicurandoci che quanto più satana cercherà di sedurre l’uomo, tanto più il Padre manderà sull’uomo grazia su grazia per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore.
Questa fu la tentazione di Gesù, certamente non marginale, ma sicuramente né determinante né la più pesante da sostenere da Gesù. C’è di peggio. In quella notte tragica nel giardino del Getsemani, Gesù cominciò ad essere attanagliato dalla paura, ad essere preso dall’angoscia. Confessiamocelo. Certe volte si è affacciata alla nostra mente l’idea che Gesù avesse avuto un attacco di pusillanimità, che gli fosse venuto a mancare il coraggio, quello fisico. Non che non ne avesse motivo conoscendo in anticipo la prova cui stava per essere sottoposto, ma, ciò non ostante, l’idea maligna stenta ad allontanarsi dalla mente. Non che non si tenti in tutti i modi di cancellarla dalla mente, ma ritorna sempre più petulante. Eppure, se noi andiamo un più a fondo, vediamo che il nostro sospetto è del tutto infondato.
Nel Getsemani Gesù (Mt 26,38) Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». - (Lc. 22,41) ”Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: [42]«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà. Ecco Gesù qui è preso da una paura mortale, da un’angoscia indicibile. Era paura per le sofferenze che sapeva di dover subire? Certamente Gesù aveva paura umanamente delle sofferenze che certamente non amava; ed anche la morte come uomo lo terrorizzava. Tutto ciò è molto comprensibile. Ma riguardo a questo momento di Gesù vorrei aprire una piccola parentesi. In una conversazione radiofonica ascoltata diversi anni fa da una stazione a diffusione locale, proprio in occasione della settimana Santa, fu sostenuta l’ipotesi che Gesù nel Getsemani abbia subito un infarto cardiaco. Non ho capito in base a quali dati clinici sia stata avanzata, diciamo così, questa diagnosi. Certamente il comportamento di Gesù da questo momento in poi appare come rallentato, quasi assente, a momenti. (Is. 53,7)Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. L’ipotesi dell’infarto non toglie ovviamente nulla alle sofferenze di Gesù, solo che le sue preghiere furono, almeno in una piccola parte, dal Padre esaudite.
Ma torniamo ancora all’angoscia di Gesù. Paolo nella sua lettera ai Galati afferma Gal 3,13… “diventando lui stesso(Gesù) maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno”. La crocifissione in Palestina non era certamente sconosciuta e Gesù sapeva di quale morte sarebbe dovuto morire: appeso al legno, sulla croce. Io sono portato a credere che non fosse la paura della morte, della sofferenza a creare l’angoscia in Gesù. L’idea di poter essere separato, seppure temporaneamente dall’amore del Padre, era per Lui fonte di angoscia e di terrore. Gesù che era vissuto in continuo contatto col Padre, Gesù che si ritirava, spesso all’alba, frequentemente tutta la notte, per pregare, per riunirsi in colloquio col Padre, ora doveva accettarne, non solo la separazione, ma perfino l’inimicizia. Era solo!! Questi sentimenti, io credo, ottenebravano angosciosamente l’animo di Gesù. E’ quella che Padre Cantalamessa ha chiamato psicologia del profondo. Entrare nel profondo, superare, per così dire, l’amore e l’ubbidienza filiale al Padre che rimanevano intatti, per mettere a nudo l’origine di quell’angoscia che attanagliava il cuore Gesù.
L’Apostolo Paolo ci dice, infatti: (2Cor 5,21) “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”. Tutto il peccato del mondo, quello passato, quello presente e anche quello futuro fu caricato sulle spalle di Gesù perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. E’ stato il prezzo del mio riscatto. E’ il prezzo da Te pagato, o mio Gesù, perché io potessi rivolgermi a Dio chiamandolo “Padre”. Per quasi una giornata, dal Tuo arresto fino alla resa dello Spirito, il Padre Ti ha voltato le spalle personificando in Te tutto il male del mondo. Tutti noi peccatori eravamo tutti presenti a Te in quei momenti.
(Mat 27,46)”Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “ Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Fino a questo momento, mio Signore, sei stato silenzioso e muto come pecora condotta al macello, ma ora lanci questo grido che è preghiera (Sal 22,2) ”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza: sono le parole del mio lamento” e contemporaneamente invocazione. Gesù sta per morire e si sente solo, si sente abbandonato. Ciascuno di noi, al momento della propria morte, spera di essere consolato dalla presenza di Gesù; e sa nel suo intimo che sarà così. Gesù invece muore solo, non ha la consolazione del Padre. Sulla Croce Gesù è la personificazione del male e tra il male e Dio non ci può essere contatto alcuno. Dio è sommo bene e in Lui non c’è neppure l’ombra del male, pertanto non poteva avere alcun contatto con colui che era la personificazione del male. Fin quando Gesù è ancora in vita, il Padre è lontano da lui, dopo che Gesù è morto, poiché “chi è morto, è ormai libero dal peccato” (Rom. 6,7), Dio ritorna ad essere il Padre suo.
Io credo che questa fosse l’angoscia mortale che attanagliava il cuore di Gesù. Cercava conforto negli Apostoli che, però erano oppressi dal sonno. (Mt.26,38) “Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Il Signore Gesù cercava aiuto e conforto, ma l’uomo non gli ne ha dato. Per ben tre volte il Signore ha cercato consolazione, ma l’uomo ha preferito dormire. Non diciamo: ”Io non c’ero!” perché c’eravamo tutti. (Matteo cap. 26) [44]E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. [45]Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. [46]Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina».

NOTA. Devo confessare che questa mia lettura del testo non è l’unica possibile. Esegeti che hanno dedicato allo studio delle Sacre scritture la loro intiera vita, come Don Giovanni Deiana cui in particolare mi sto riferendo in questo momento, traducono “ Dio fece sacrificio di espiazione colui che non aveva conosciuto peccato”. Giustificando così la sua traduzione: “”Nei LXX infatti il termine αμαρτια (amartìa) assume sia il significato di peccato sia quello di “sacrificio di espiazione” dall’ebraico (hatta’t ) (G. Deiana Dai Sacrifici dell’Antico Testamento al Sacrificio di Cristo Pag.88 Edizione Urbaniana University Press 2002)

V DOMENICA DI QUARESIMA

Questa settimana la Santa Liturgia ci propone dal Vangelo di Giovanni l'episodio dell'adultera e colgo l'occasione per inserire delle mie riflessioni sul brano scritto diverso tempo fa. Sono sempre in attesa di vostri sempre graditi commenti.
(Giovanni cap. 8)
[1]Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. [2]Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. [3]Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, [4]gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. [5]Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». [6]Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. [7]E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». [8]E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. [9]Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. [10]Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». [11]Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più».
Questo bellissimo brano del Vangelo di Giovanni viene proposto spesso nella liturgia della Chiesa perché ci propone una situazione frequente nella vita del cristiano, sia sulla posizione dell’adultera sia in quella dei suoi accusatori. Il peccato, la trasgressione è chiara e manifesta: “ è stata sorpresa in fragrante adulterio”, non ci sono dubbi e neppure l’ accusata osa difendersi: secondo la Legge è colpevole.
Deuteronomio cap. 22)
[22]Quando un uomo verrà colto in fallo con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l'uomo che ha peccato con la donna e la donna. Così toglierai il male da Israele.
(Levitico cap. 20)
[10]Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adultero e l'adultera dovranno esser messi a morte.
Ecco cosa dispone la Legge mosaica invocata dagli accusatori in proposito. Senza alcun dubbio essi, i colpevoli di adulterio, meritano la morte! Era “adultera” la relazione sessuale tra un uomo sposato o no, e una donna sposata (o fidanzata), perché un tale rapporto offendeva il diritto di proprietà riconosciuto al marito sulla propria moglie.
Intanto però sorge un problema. Per commettere adulterio bisogna essere in due, mentre qui hanno trascinato di fronte a Gesù solo la donna. E l’uomo? Abbiamo visto per i due brani citati e riprodotti che la Legge è molto severa e radicale a tal riguardo: “Così toglierai il male da Israele” dice Mosè. Ci troviamo di fronte, oltre che a una giustizia carente, parziale, ad una vera e propria ingiustizia perpetrata ai danni della donna, solamente perché donna.
La condizione della donna, l’abbiamo visto altre volte, era di completa sottomissione. Essa era soggetta al padre fin quando restava in casa del genitore e una volta maritata essa diveniva proprietà assoluta del marito. Se vogliamo vedere uno spaccato della condizione della donna spulciamo nel Siracide (o Ecclesiatico), scritto appena cento – centocinquanta anni prima di Cristo, cosa ci dice della condizione femminile. Ne riproduco un brano emblematico:
(Siracide cap. 42)
[9]Una figlia è per il padre un'inquietudine segreta,
la preoccupazione per lei allontana il sonno:
nella sua giovinezza, perché non sfiorisca,
una volta accasata, perché non sia ripudiata.
[10]Finché è ragazza, si teme che sia sedotta
e che resti incinta nella casa paterna;
quando è con un marito, che cada in colpa,
quando è accasata, che sia sterile.
[11]Su una figlia indocile rafforza la vigilanza,
perché non ti renda scherno dei nemici,
oggetto di chiacchiere in città e favola della gente,
sì da farti vergognare davanti a tutti.
Un altro brano:
(Siracide cap. 9)
[9]Non sederti mai accanto a una donna sposata,
non frequentarla per bere insieme con lei
perché il tuo cuore non si innamori di lei
e per la tua passione tu non scivoli nella rovina.
Se andiamo a vedere anche altri libri o brani del Vecchio Testamento, l’opinione sulla condizione femminile sostanzialmente non cambia. Ci limitiamo a questi due. La donna non supera, non per suo volere naturalmente, la maggiore età se non con Gesù e il suo insegnamento di misericordia ed amore. Nel brano del Siracide, pare più che evidente che sul comportamento della donna neppure il proprio padre era disposto a dare credito; si doveva stare sempre in guardia per non cadere vittima dei suoi malefizi: essa era portata, per la sua stessa natura, a fare il male. A onor del vero nel Siracide si incontrano anche dei brani in cui si fa un elogio più che dovuto alla buona padrona di casa, alla donna virtuosa.
Ma, ritornando al nostro brano evangelico, l’aver tradotto di fronte a Gesù solo la donna aveva la sua giustificazione. Secondo i brani del Siracide citati, lei era colpevole di aver ammaliato e sedotto l’uomo.
[22]. Così toglierai il male da Israele. I giudici del racconto evangelico hanno indubbiamente ragione di tenersi saldi alla tradizione della Legge (eliminare il peccatore con il peccato) ma hanno torto nel bloccarla in un sistema che non lascia più spazio alle aperture che essa stessa contiene ed al Dio vivente che rende incessantemente nuove le letture che l’uomo fa delle Sacre Scritture. Essi preferiscono la lettura ben definita e definibile allo spirito della Legge. Non vogliono tenere conto della realtà dell’uomo (e della donna), della sua debolezza di fronte alla prepotenza della carne, della continua tentazione cui l’uomo è sottoposto in ogni momento della sua vita, e non necessariamente solo quelle della carne. I giudici si ritenevano i depositari, i custodi della Legge scritta e tramandata una volta per tutte, senza alcuna possibilità di penetrare nello spirito della legge (vedi la condanna di non molto tempo fa, aprile 2002, di quelle due donne, Safya Husseini e Amina Lawal in Nigeria, ma pare che ce ne siano a centenaria in tutta la Nigeria, povere creature, di religione musulmana condannate alla lapidazione. Certamente colpevoli, ma condannate secondo la legge della Shari’a, che è legge coranica inappellabile, senza nessuna apertura alla misericordia o almeno alla umana comprensione).
[3]Allora gli scribi e i farisei mettono la donna in piedi come un accusato, in mezzo al cerchio degli accusatori. Sembra di vedere la scena; il cerchio è chiuso da Gesù che si trova lì ad insegnare. Gesù è seduto, come si addice ad un giudice che si siede a giudicare. L’accusata posta in piedi in mezzo, al centro del cerchio, doveva attrarre gli occhi di tutti, scribi e farisei, severi nella loro accusa e duri nella condanna già emessa nel loro cuore. Ma non è così. Agli scribi e farisei della donna non importa nulla, a loro interessa l’atteggiamento di Gesù. A loro interessa solo mettere Gesù in difficoltà e screditarlo di fronte ai suoi seguaci. Hanno escogitato un tranello nel quale far cadere Gesù. Infatti portandogli una donna colta in fragrante adulterio hanno messo Gesù con le spalle al muro: se Gesù avesse usato clemenza alla donna, si sarebbe messo contro la legge di Mosè ed essere accusato di bestemmia e trascinarlo in giudizio di fronte al Sinedrio, oltre che inimicargli le folle ligie alla tradizioni della Legge; se avesse avvallato la loro sentenza, sempre secondo la Legge, avrebbe smentito tutta la sua predicazione e sarebbe apparso inaffidabile e poco credibile agli occhi di chi lo ascoltava e seguiva. Come aggiunta possiamo dire che se avesse emesso la sentenza di morte seduta stante si sarebbe messo contro l’autorità romana che non concedeva agli ebrei, neppure in nome della Legge divina, di emettere ed eseguire condanne a morte. Non c’è che dire: il tranello era ben congegnato. Che fosse un tranello teso a Gesù è dimostrato anche dal fatto che manca l’offeso, il marito o il fidanzato o il padre. Inoltre solo un tribunale regolare avrebbe potuto emettere la sentenza e non un Rabbi, un Maestro, per quanto autorevole. Era già stata emessa la condanna? Doveva solo trattarsi di eseguire la sentenza già pronunciata? Non c’è modo di capirlo dal testo; pertanto siamo portati credere che si sia trattato di un tranello teso a Gesù.
Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. Gesù però non risponde, cerca di tergiversare. Il vero accusato ora non è più la donna ma Gesù stesso, colui che avevano eletto a giudice; e lo avevano pure chiamato Maestro!. Tutti gli occhi sono puntati su Gesù in attesa di coglierlo in fallo. A sua volta Gesù più che dalla donna è colpito dalla durezza di quei cuori, chiusi alla misericordia. Non risponde loro ma si china a scrivere per terra. E cosa avrebbe potuto dire? “Razze di vipere che cercate nelle pieghe delle Legge per trovarvi la morte e non la vita.”? Non dice nulla, tace. E quelli ad insistere; sentono di averlo in pugno e non vogliono rinunciare.
Gesù alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». “Chi è senza peccato”. C’è qualcuno senza peccato?
(1Giovanni cap. 1)
[8]Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi.
Nessuno è senza peccato, tutti, dal peccato di Adamo in poi, siamo nel peccato. Ma Gesù non vuole la morte del peccatore ma il suo ravvedimento: “Chi di voi si sente senza peccato scagli la prima pietra”. Gesù usa misericordia verso gli scribi e i farisei consegnandoli alle loro proprie coscienze, a quella facoltà intuitiva in virtù della quale si giudica un atto compiuto o da compiere. Ciascuno si guarderà dentro, rivangherà i propri misfatti occulti, quelli che nascondiamo a noi stessi, nel nostro subconscio, e ne trarrà le dovute conseguenze. Quanti giudizi frettolosi, quante condanne impietose, magari non espressi se non nella nostra mente, che risorgono alla memoria come fantasmi dimenticati!!. Mettere a nudo il nostro “io”, la nostra personalità conosciuta solo da noi stessi e mai confessate o fatte apparire agli altri, per trovare dei peccati che non si possono neppure confessare perché non sono fatti, non sono avvenimenti ma giudizi, desideri, fantasie magari, che abbiamo accarezzato per un secondo in più prima di respingerla. Tutto questo ciascuno di noi, nessuno escluso, tiene gelosamente nascosto nelle pieghe della memoria e risuscitabile ad interrogazione di quella che noi chiamiamo “coscienza”, il nostro “io” nascosto agli altri ma non a noi stessi. Questo giudice che siede a giudicare dentro di noi che noi, ripeto chiamiamo coscienza, è spesso spietato e senza misericordia, più severo e intransigente della stessa Legge di Dio. A questa coscienza Gesù affidò scribi e farisei. Non li condannò. Gesù portò agli uomini il perdono escatologico (per l’eternità) e gratuito di Dio e non voleva condannarli, ma che si ravvedessero.
[9]Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Lasciano cadere dalle mani quelle pietre che avevano già raccolte per fare giustizia e se ne vanno mogi mogi con lo sguardo confuso e rivolto a terra come chi non vuol vedere e non vuole essere visto in faccia. Ad uno ad uno a cominciare dai più anziani nei quali, probabilmente, il cumulo della spazzatura è più alto.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Dice S. Agostino: “ Rimane solo la misera e la Misericordia” . Rimane il peccato ed il perdono. Il peccato rimane peccato, anche se viene perdonato.
[10]Alzatosi allora Gesù le disse: «Nessuno ti ha condannata?». [11]Ed essa rispose: «Nessuno, Signore».
Adesso anche Gesù si alza in piedi, come si conviene ad un giudice che sta per emettere la sentenza.
«Neanch'io ti condanno; Questa è la sentenza di Gesù. Ma << và e d'ora in poi non peccare più». Resisti cioè alla tentazione della carne. Gesù, uomo, conosce quali e quante sono le tentazioni cui l’uomo è sottoposto. [19] io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Dice S. Paolo nella lettera ai Romani. E’ talmente radicato in lui il male che l’uomo da solo è incapace di lottare e di vincere.
Agli scribi e farisei, nei quali ci riconosciamo se non tutti almeno una grande maggioranza, viene lasciato il compito di vigilare, di non giudicare mai, neppure quando tutto sembra chiaro. Quella donna sembrava colpevole? E se invece era lei la vittima di una qualche violenza, anche psicologica?
Comunque cerchiamo di non dimenticare mai ciò che ci dice Giacomo nella sua lettera.
(Giacomo cap. 2)
[13]il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio.
Saremo giudicati con lo stesso metro con cui noi avremo giudicato gli altri.

IV DOMENICA DI QUARESIMA

QUESTA DOMENICA VOGLIO ANNOIARVI PIU' DEL SOLITO: RIPORTO LE MIE RIFLESSIONI ATTUALI E QUELLE SCRITTE NELL'ANNO C DEL 2001. PERDONATEMI QUINDI LA LUNGAGGINE.
IV° DOMENICA DI QUARESIMA
14 – 03 – 10
(Luca cap. 15,1-3;11- 32)
Per questa 4° Domenica di quaresima la Santa Liturgia ci propone la parabola del “figliol prodigo” o del “prodigo” o, come oggi si tende a intitolarla, del “Padre misericordioso”. La prodigalità è il contrario dell’avarizia e sono entrambe colpe di “dismisura” nell’uso dei beni materiali e Dante nel Purgatorio li incontra nella quinta cornice, mentre stanno col viso rivolto a quella terra che tanto hanno stimato. E’, questa, una delle parabole di Gesù più note tanto, che mi sembra superfluo riportarne il testo. Nella pratica della “lectio divina” distinguiamo diversi passaggi, o momenti, che nella prassi tendiamo ad unirli in unico momento. Il primo momento è, ovviamente, la lettura del testo, la “lectio” seguito dalla “scrutatio”, cioè la ricerca di passi paralleli, o assimilabili, per meglio penetrare il senso del brano in esame. Un terzo momento è la “meditatio” che è l’attualizzazione personale del brano, cui seguirà la “oratio” e la “contemplatio”.
Essendo il brano ben conosciuto, iniziamo direttamente dalla “meditatio”. In questa parabola dove mi colloco io con la mia vita? Quale ruolo ho? Sono proprio sicuro di non aver sperperato la vita che il Signore mi ha dato? Anche io a un certo punto della mia vita ho detto: ”Voglio vivere a modo mio, voglio fare come fanno tutti”. E ho voltato le spalle al Signore mio Dio andandomene lontano da Lui, in un paese non fisico, ma dove credevo di trovare la felicità dei sensi, di godere della mia vita, di fare altre esperienze. Ritrovandomi con l’amaro in bocca sono ritornato a Lui che stava instancabilmente ad aspettarmi dall’alto della torre, pronto ad accogliermi misericordiosamente con le braccia aperte. Nella parabola il figliol prodigo ritorna al Padre, è da credere, veramente pentito e guarito da ogni desiderio ulteriore di evasione. Io sono stato peggiore di lui perché sono andato via da Lui e ritornato un’infinità di volte, approfittando della sua misericordia. Oltre questo, cosa posso dire ancora? La consapevolezza di avere sprecato quella vita che con tanta generosità il Signore mi ha dato, continua a darmi l’amaro in bocca. Avrei potuto impiegare meglio quella salute e quella intelligenza che il Signore mi ha concesso, ma non le ho sapute utilizzare al meglio; troppe volte ho utilizzato quei doni in modo e per fini sbagliati. Non sono ipercritico nei miei riguardi, ma mi sforzo di essere obbiettivo e di vedere il tutto da una visione esterna a me.” Spesso accade che, guardandosi nel cuore e pensando a Dio, si provi un disagio difficilmente definibile, come se Dio non fosse contento delle nostre scelte, della nostra vita” . A questo si aggiunge un senso di inadeguatezza, di incapacità a fare da solo la volontà di Dio, a seguire i suoi insegnamenti fino in fondo. Mi rendo naturalmente conto che la mia situazione è comune a molti, per non dire alla stragrande maggioranza dei credenti e che fidiamo tutti nella infinita misericordia di Dio, ma la consapevolezza del male che alberga nel cuore dell’uomo, e in me, non mi consola dall’avere male utilizzato la mia vita e apre il mio cuore alla speranza.
[25]Il figlio maggiore si trovava nei campi e quando sente la festa che il Padre ha organizzato per il figlio ritrovato, si indispettisce e non vuole più entrare in casa. Ho dei punti di contatto con questo altro personaggio? Certamente quando mi erigo a giudice di persone e fatti, direi che mi calo proprio in quel discusso e discutibile personaggio. “ Non giudicate, per non essere giudicati” (Mt.7,2). Per noi uomini, e per me, giudicare coincide col condannare. Si condanna per ignoranza il più delle volte, perché non conosciamo esattamente l’atto o la persona che stiamo giudicando, ma si condanna anche, piuttosto spesso, per invidia, per gelosia o per istintivo rifiuto verso una persona; che neppure conosciamo personalmente. “Si trovava nei campi”, faceva il suo dovere di figlio. Ma lo faceva con amore, o non, piuttosto, con uno spirito da ragioniere: “Ho dato tanto, mi spetta altrettanto”? Quante volte sono andato a messa con questo spirito ragionieristico del dare ed avere? Andare a messa, partecipare ai riti liturgici senza amore è calarsi nei panni del figlio maggiore il quale non si è ribellato apertamente al Padre come il fratello minore, forse, solo perché gli è mancato il coraggio, ma nel profondo era peggiore di suo fratello. Ha vissuto in casa del Padre non da figlio, ma da servo; ligio alla legge, ma privo d’amore. Questo non si sente peccatore, come il fratello minore, si ritiene giusto, anzi, talvolta, anche più giusto di Dio… Chi non ha mai sentito la frase: Perché Dio permette queste cose?”
Non possiamo cambiare ciò che abbiamo fatto nella nostra vita, ma dobbiamo riconoscere con amore e gratitudine questo Padre, veramente “misericordioso”, che ci ha atteso paziente per accoglierci a braccia aperte lieto del nostro ritorno. Non ci rimane che chiedere a Lui, che tutto può, di darci tutti i giorni quel “pane quotidiano”, che è il fare la sua volontà che è “amarlo, adorarlo e servirlo in questa vita” per goderlo nell’altra per l’eternità.
Marko Ivan Ruptnik “Gli si gettò al collo”

25 marzo 2001

Questa parabola un tempo era chiamata la parabola del figliol prodigo. Ora, più opportunamente, la si definisce quella del “padre misericordioso”. Un conto è, infatti, partire dal figlio ed un conto è partire dalla figura del Padre.
A Gesù gli scribi e i farisei avevano posto una domanda: ”Perché mangi con i peccatori?” E la parabola è la risposta a questa domanda. E’ da dire che tutti possiamo condividere l’obbiezione dei farisei. “Perché frequenti gente disonesta?” Sappiamo bene quanto anche noi stiamo attenti a non farci vedere in giro con della gente di dubbia reputazione. E sappiamo di quanto i politici siano attenti a non farsi fotografare o vedere con persone coinvolte nella mafia. Quindi noi per primi avremmo formulato le stesse riserve, impastati come siamo di perbenismo. Lo scandalo degli scribi e dei farisei è il nostro scandalo. Gesù invece dà fiducia a tutti. Neppure la donna scoperta in fragrante adulterio è da Lui condannata: non la considera perduta. Dio accorda fiducia a tutti e la condiscendenza del padre ad accogliere le richieste, certamente ingiuste, del figlio minore non è dabbenaggine, ma è l’espressione della assoluta libertà che Dio ha concesso all’uomo e della fiducia che Dio ha nel suo immenso amore. Il Signore è convinto che il suo amore farà breccia nel cuore del figlio, della prostituta. E’ un amore smisurato e che mai può venir meno qualunque strada l’uomo decida di intraprendere. Il figlio, dopo che avrà dato fondo a tutte le sue illusioni, si accorge che l’amore del padre è eterno. Il nuovo ambiente, la sua nuova situazione, il suo nuovo libero stato non lo soddisfa, non lo sfama, non gli dà neppure quelle carrube dì cui si nutrono le bestie. Le esperienze che ha vissuto lontano dal padre non gli danno neppure le forze per alzarsi in piedi e camminare, gli mancano persino le forze. Ma l’amore del padre di cui si ricorda, questo gli dà la forza di mettersi in piedi e mettersi in cammino verso il padre.
L’immagine di Dio impressa al momento della creazione non sarà mai cancellata totalmente dal cuore dell’uomo. La fedeltà di Dio al suo amore dà la certezza all’uomo di poter ritornare, di non essere respinto. Dio non respinge mai nessuno, ma lascia sempre la speranza di un ritorno: tale è l’amore indelebile del Padre impressoci al momento della creazione. Dovunque andiamo, qualsiasi cosa facciamo alla fine l’uomo non potrà non incontrare Dio. Gregorio di Nissa paragonava la vita dell’uomo ad una sfera, sulla cui superficie c’è l’immagine di Dio creatore e della sua creatura. La creatura crede di allontanarsi da Dio e vaga in questa sfera, e credendo di avere persino dimenticato l’immagine di Dio si trova, dopo il suo lungo peregrinare, a incontrare nuovamente Dio.
Il figlio prodigo si illude di avere tagliato tutti i ponti col padre: egli agisce nella sua libertà, ma alla fine, dopo aver pagato tutte le conseguenze delle sue scelte, l’amore del padre sarà l’unica sua speranza e certezza. Siamo di fronte in questa parabola alla epifania dell’amore del Padre.
Nessuno gli dà le carrube che potrebbero dargli la forza per mettersi in piedi e dirigersi verso il Padre. Ma lo stesso amore del Padre sarà la sola forza capace di metterlo in cammino. Al Padre che ha manifestato una incrollabile fiducia nell’uomo. Il Padre sembrerebbe quasi che se ne stesse su una torre ad aspettare questo figlio perduto per gli uomini ma non per Lui, perché lo vede da lontano e gli corre incontro gettandoglisi al collo. Quasi non lo fa parlare, non lo rimprovera di nulla e tanto meno gli prospetta una qualche punizione: “ Su! su! Facciamo festa. Solo questo importa in questo momento di gioia”. Gli mette la veste più bella: quella con le maniche lunghe, come quella che Giacobbe fece per il figlio Giuseppe suscitando l’invidia dei fratelli, i calzari ai piedi, l’anello al dito, segno di dignità e di nobiltà. Non gli chiede conto del patrimonio che gli aveva consegnato e di che fine questo abbia fatto. No. E’ solo un momento di gioia. E non gliene chiederà conto neppure dopo. Certamente non agisce, questo padre, e non ragiona come ragiona il mondo: ad un errore, per non dire una colpa, un delitto DEVE corrispondere una punizione; altrimenti non c’è giustizia. E di questa opinione del mondo si fa paladino il fratello maggiore, che ragiona così come ragioniamo noi: non c’è giustizia. “Io non ti ho mai chiesto nulla, non mi hai mai dato nulla, ti ho solo servito fedelmente e tu ora fai festa per questo figlio che non merita. Non ha mai lavorato, ha sperperato la fortuna che tu gli hai dato, e tu ora lo metti in trono come se fosse un re”. “ Tu sei misericordioso? Mi sta bene. Ma questa tua misericordia, in questo caso almeno, è eccessiva. ”
La misericordia del Padre è talmente grande e fuori dei nostri schemi che non solo ci sorprende, ma ci sconcerta persino. Sembra quasi un’ingiustizia, ma se, come S. Gregorio Magno, pensiamo che la misericordia del Padre è talmente immensa che non ci si può mettere a tavola gustare quei cibi grassi e succulenti, di cui parla Isaia, se prima tutti, ma proprio tutti i figli siano seduti attorno alla tavola.

giovedì 4 marzo 2010

TERZA DOMENICA DI QUARESIMA

III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C
07 – 03 - 2010
(Luca cap. 13) [1]In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. [2]Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? [3]No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. [4]O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? [5]No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». [6]Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. [7]Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? [8]Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime [9]e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai».

Continui erano gli atti di insubordinazione degli ebrei contro il governo di Roma che, per mano del procuratore Ponzio Pilato, reagiva con inaudita violenza ed esercitava la sua reazione anche durante i riti religiosi. Fu riferito a Gesù l’episodio di certi galilei che erano stati massacrati dai soldati di Pilato durante un sacrifico mescolando il loro sangue “con quello dei loro sacrifici”. Si aspettavano da Gesù una condanna politica dell’operato dei romani, ma Gesù rammenta loro anche l’episodio di cronaca a tutti noto della torre crollata sopra diciotto uomini avvenuta a Gerusalemme nei pressi della piscina di Siloe. Di fronte ad una disgrazia, o morte violenta, il popolo era solito interrogarsi quale fosse stata la colpa della vittima per essere andata incontro ad una morte simile. Chi gli aveva comunicato queste notizie si aspettava un atto di condanna delle vittime e, magari, la rivelazione di quale orrendo peccato fossero essi responsabili. “Niente affatto!” dice Gesù. “Essi non erano più peccatori di voi, ma se non vi convertite farete la loro stessa fine”. Ed ecco il tema che oggi la Santa Liturgia ci propone: la conversione. E, per rafforzare e rendere ancora più chiaro il concetto, il Vangelo di Luca ci presenta la parabola del fico sterile:” Se non porta frutto, taglialo e brucialo”.
Molti sono gli interrogativi che il brano evangelico pone. Cosa si intende per frutto; cosa si intende per fico; cosa si intende per conversione?
Il Frutto. Tutto ciò che noi facciamo in vista della vita futura è buono, tutto il resto non lo è. Li possiamo individuare nei doni che otteniamo per mezzo dello Spirito Santo: “”Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.””(Gal 5,22S)
Il fico sterile. Potremmo identificarlo con Israele che disattende la legge del Signore. Ci farebbe comodo: stiamo osservando la pagliuzza nell’occhio degli altri e non vediamo la trave che è nel nostro occhio. Quel fico sterile sono io, sei tu, fratello mio che mi leggi; è ciascuno di noi individualmente.
Conversione. Convertirsi significa "credere che Gesù ha dato se stesso per me, morendo sulla croce e, risorto, vive con me e in me". (Benedetto XVI) In greco “metànoia” è la conversione interiore, non è solamente il comportamento esteriore, ma il cambiare completamente mentalità. E’ quello che chiede a noi il Signore in questa Quaresima. Vuole che ci prepariamo al triduo pasquale per viverlo con la consapevolezza profonda, radicata nel nostro spirito che Gesù è morto per noi, pensando individualmente a me, è salito su quella croce per me, perché io fossi salvo. Posso rimanere indifferente a questo? Posso continuare a pensare che mi riguarda relativamente? Oppure debbo continuare a credere come i contemporanei di Gesù che gli uccisi da Pilato e quelli travolti dalla torre fossero i peccatori ed io sono scampato solo perché ritenuto giusto?