lunedì 22 marzo 2010

VI DOMENICA DI QUARESIMA - DOMENICA DELLE PALME

La quaresima si avvicina alla fine e già, anche col ritorno della primavera, si pregusta la Pasqua, la Risurrezione di Gesù e la rinascita nostra. Però non ci può essere Risurrezione senza passare attraverso il Getsemani, il Golgota e la Croce di Cristo. Per cercare di essere vicini a Gesù durante la sua Passione ho pensato di inserire queste mie riflessioni sulle sofferenze di Cristo. Auguro a tutti una Buona Pasqua cristiana. Che il Signore ci benedica.

Gesù Crocifisso
Riflessioni
Uno dei ricordini, “souvenir”, per così dire, che mi sono portato dalla Croazia, quando ho visitato il santuario di Merjiugorie, è l’abitudine di recitare sette “Padre Nostro”, sette “Ave Maria” e sette “Gloria” seguiti dalla recita del Credo. Spesso faccio questa preghiera mentre cammino per strada, in viaggio o nei momenti in cui mi annoio: così unisco l’utile a dilettevole. Così facendo mi sembra di accompagnarmi a Gesù Crocifisso e di sentirmi meno solo. So che Gesù è, se io lo chiamo, sempre al mio fianco, ma in questo modo mi accompagno a Lui più intensamente. Allo scopo di contare tutte queste preghiere ripetitive e sostanzialmente noiose in quanto sempre uguali e monotone, ho preso l’abitudine di pensare al Cristo Crocifisso enumerandone via - via le piaghe.
Un’altra preghiera che recito spesso, specie dopo la Comunione, è quella di San Bonaventura (da Civita di Bagnoregio). In essa si dice: “ ....... vado considerando le Vostre cinque piaghe.......”. Ma la recita della preghiera croata prevede sette passaggi. Allora mi sono cercato altre due piaghe di Nostro Signore: e non ne mancano a chi le voglia cercare.
Col primo “passaggio”, cioè con la recita dei primo ”Padre, Ave e Gloria”, concentro la mia attenzione sulla corona di spine posta sul capo di Gesù. (Matteo cap. 27)29]e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra La testa del Figlio di Dio, degna più di tutti a portare la corona di Re, umiliata e ferita dalle spine di una corona intrecciata dalla soldataglia per scherno! Il Creatore del mondo torturato dalle sue stesse creature con un arbusto da lui creato per amore di quelle stesse creature!! La derisione di Gesù nel racconto della flagellazione non fu un fatto occasionale, un avvenimento superfluo ed ininfluente nel racconto della passione, esso fu voluto, quasi studiato in ogni particolare, programmato quasi in modo scientifico ed attuato in modo da umiliare il Figlio di Dio, per decretarne agli occhi del mondo la sua sconfitta e la sua inconsistenza. “Altro che Figlio di Dio”, sembravano dire, “è un povero illuso e scemo che si è messo in testa delle idee e dei progetti più grandi di lui. Guardatelo ora!!” Re per burla, lo proclamano i soldati dopo che Erode lo aveva dichiarato un buffone, un uomo da burla(Luca cap. 23)[11]Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In modo quasi scientifico, dicevamo. E certamente sa di studio psicologico il colpire la sede dell’intelligenza, il posto dove si generano le idee: colpire la mente è annullare l’uomo, renderlo un nulla. E questo era lo scopo nascosto nel mettere sulla testa del Re dei Re quella corona: annullarlo in modo totale, privandolo del senno. La corona di acanto (acanto in greco significa spina) di per sé può non essere una tortura insopportabile, ma se su di essa vi si percuote con una canna, ecco che le spine penetrano nel cuoio capelluto e nella cute procurando sicuramente un dolore intenso e tormentoso; oltre alla fuoriuscita di sangue che gocciolando sugli occhi procuravano un ulteriore motivo di sofferenza a causa delle mani legate e quindi della impossibilità di detergerlo. Per un uomo poi che non aveva praticamente dormito l’intera notte precedente, che aveva le mani legate dietro la schiena, stordito dalla flagellazione subita e dai colpi in testa, pugni, schiaffi che i soldati non gli risparmiavano, questa corona doveva pesare come una montagna su di Lui. E tutto questo se si considera solo la natura umana di Gesù, senza includere la natura divina di Lui.
Nel secondo passaggio cerco di concentrarmi sulla flagellazione e sui pugni, sui calci ma soprattutto sulla flagellazione subita da Nostro Signore.
(Matteo cap. 27)[26]Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
(Marco cap. 15)[15]E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
(Giovanni cap. 19)[1]Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare.
Come avveniva la flagellazione? Poteva essere flagellato uno condannato dal giudice alla pena di morte. Ma mentre il cittadino romano veniva flagellato con le verghe , per lo straniero veniva usato il flagello. Per la flagellazione il condannato veniva spogliato delle vesti, legato ad un palo o ad una colonna e fustigato da più persone, spesso fino a che le sue carni cadevano a brandelli. La flagellazione stessa era talvolta causa di morte. Il flagello erano delle strisce di cuoio cui in cima alle strisce di cuoio erano legati degli ossicini o dei pezzi di piombo. Ma non basta. Lo riempirono pure di botte, tanto da provocargli ecchimosi e la frattura del naso come attesta la Sindone, ammesso che sia essa il lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Gesù. La stessa Sindone ci informa pure dei segni lasciati sulle spalle dai colpi di scudiscio. (Marco cap. 14)I servi intanto lo percuotevano… (Matteo cap. 26)[67]Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, (Luca cap. 22) [63]Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, [64]lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?». Nota a Lc. 22,64 “Gesù ha il volto coperto da un velo, perché gli oltraggi diventino in Lc un gioco a indovinello, molto conosciuto nel mondo antico e in tutti i tempi.”

Tutte queste torture inflitte a Gesù, insieme con la angoscia mortale del Getsemani e la notte insonne, furono, probabilmente, la causa della sua estrema debolezza e la incapacità di portare la croce, fosse pure solo la parte orizzontale di essa, chiamata pathibulum. Ogni condannato doveva portare con sé la parte orizzontale della croce, mentre la parte verticale di essa era fissa sul luogo del patibolo e veniva usata per più esecuzioni. Il condannato spesso era stremato dalle torture subite e non era in grado di portare il pathibulum. In questa evenienza ai soldati era consentito ordinare ( e l’ordine doveva essere prontamente eseguito) ad uno dei curiosi, che non mancavano a questi spettacoli, di caricarsi l’asta della croce fino al luogo della crocifissione. Gesù era, come uomo, ormai distrutto, fisicamente persino incapace di reggersi in piedi tanto da costringere i soldati a requisire un passante, Simone di Cirene, a portare lui la trave fino al Golgota. Gesù era talmente debole e sfinito che i soldati lo dovettero portare, forse quasi di peso ( Il verbo greco usato dall’Evangelista è fero, che significa portare.) In parole povere Gesù fu vittima di una violenza oggi inconcepibile: noi non riusciamo neppure ad immaginare, nel nostro mondo odierno, violento per altri versi, ma in certo qual modo umanitario, un comportamento così violento ed inumano e per di più rispettoso della legalità. Sì, perché il tutto avvenne nel rispetto della più scrupolosa legalità. Il procuratore romano aveva sostanzialmente diritto di vita e di morte su tutti i cittadini a lui sottoposti. Ponzio Pilato è stato accusato di molti crimini ma non di avere illegalmente condannato a morte Gesù o qualche altro.
Nel terzo passaggio concentro la mia attenzione sull’atto della crocifissione, cominciando dall’inchiodamento della sua mano sinistra al legno della Croce. Innanzi tutto, prima di essere fatto sdraiare con le braccia distese sul pathibulum, Gesù fu privato delle sua vesti. Il condannato alla crocifissione veniva denudato, prima di essere appeso. Gesù, quindi, fu spogliato. Sembrerebbe un atto da poco, soprattutto in questi tempi in cui per la moda più che vestirci ci denudiamo, specialmente il, così detto, sesso debole. Ma proviamo ad immaginarci i sentimenti di chi viene spogliato in pubblico, davanti a tutti, privo di vestiti di fronte ad una folla certamente ostile!! Gesù venne privato della sua dignità di uomo! Vestito puoi essere qualcuno , ma privato dei vestiti hai la sensazione di essere solo un verme, non hai più difesa, sei totalmente in balìa dei tuoi aguzzini. Se conservi ancora un briciolo di dignità, nudo in pubblico sei privo di ogni difesa: non sei più un uomo, sei solo una cosa. E questo lato della psicologia dell’uomo ben la conoscevano i nazisti nei campi di sterminio dove per prima cosa facevano denudare gli ebrei al fine di fiaccare in loro ogni residuo sentimento di orgoglio e di dignità: peggio di questo c’è solo la morte e per questo, dopo questo trattamento, ogni resistenza spariva. E, forse, si cominciava a vedere la morte come una liberazione.
Ma torniamo ora all’atto dell’ “inchiodamento”. Gesù fu fatto sdraiare supino per terra con le mani distese sul Pathibulum, come abbiamo già detto. Uno dei carnefici inchiodava il polso del condannato al legno, dopo averglielo legato per evitare che spostasse il braccio. Sembra semplice, ma non lo è. Innanzi tutto veniva inchiodato il polso e non il palmo della mano perché questa si sarebbe lacerata sotto il peso stesso del condannato. Inoltre essendo il chiodo lungo circa 18 cm. ed, essendo fatto alla forgia, non era certamente liscio, ma di sezione quadrangolare, ruvido, appuntito con una grossa testa per essere facilmente colpito dal grosso martello usato dal carnefice. (Ho sotto gli occhi la figura di un uomo inginocchiato con in mano un grosso martello che, con evidente forza e decisione, pianta un chiodo sul legno. Forse questa figura mi viene da un quadro di un pittore fiammingo ed in cui il personaggio non sta inchiodando un condannato, ma amo pensare che colui che piantò in chiodi a Gesù avesse lo stesso atteggiamento di totale dedizione al proprio lavoro, di eseguire tale operazione con il dovuto e professionale impegno, senza risparmiarsi. E tale doveva essere l’impegno nel lavoro degli aguzzini di Gesù).
Dopo il polso sinistro, quello destro. Il polso destro è il quarto momento di riflessione. Per quanto sfinito ed esausto Gesù non era certamente del tutto insensibile e quel chiodo che penetrava lentamente ad ogni colpo di martello nelle sue carni, non poteva non provocare un dolore straziante. Solo l’immenso amore che Gesù portava al Padre, la sovrannaturale obbedienza di figlio, potevano fargli sopportare questo dolore fisico e non solo. Lui si era volontariamente caricato dei peccati dell’umanità e senza un lamento, “come pecora condotta al macello”, si lasciava crocifiggere. Si lasciava volontariamente crocifiggere. Se un uomo subisce passivamente un atto violento, o comunque spiacevole, non potendolo evitare compie una atto meritorio, ma se lo subisce potendolo evitare…… E Gesù, il Figlio di Dio incarnato, Dio stesso, poteva evitarlo, poteva mandare le legioni dei suoi angeli a salvarlo, se appena lo avesse voluto. Ma non lo VOLLE. Gesù non amava la sofferenza, ma accettava la sofferenza solo in obbedienza assoluta verso la volontà del Padre. Egli era cosciente di compiere un atto d’amore verso l’umanità condannata dal peccato, per darle un motivo di speranza ed una redenzione dalla ombra di morte che la sovrastava dal principio dei tempi. Io, insieme a tutta l’umanità peccatrice, sono quello che col martello in mano configgevo il lungo chiodo nelle carni del mio Creatore e Redentore, sono io che con i miei peccati ripetuti, come ripetuti erano i colpi di martello, l’ho crocifisso; sono io che l’ho messo a nudo per umiliarlo, per privarlo di ogni difesa.
Fissati i due polsi al legno del “Pathibulum”, bisognava innalzarlo lungo il legno verticale fino a che i piedi non toccavano più terra. Questo veniva fatto con delle corde e delle scale. Questa operazione era un altro motivo di sofferenza per il condannato che, fino a quando anche i piedi non erano fissati al legno, doveva reggere il peso del proprio corpo sui chiodi infissi nei suoi polsi. Certamente i carnefici mentre lo innalzavano da terra, lo sorreggevano per le gambe fino che anche i piedi non venivano inchiodati. A me sembra un’operazione difficile e complicata, ma, anche se fatta da mani esperte, aggravava comunque ancora di più la sofferenza. Una volta innalzato con i piedi al di sopra del suolo e inchiodati, l’operazione si poteva dire conclusa.
E’ questo il quinto momento di riflessione. I piedi venivano inchiodati separatamente o assieme. Nella mia preghiera io li considero inchiodati separatamente e ogni chiodo piantato nelle carni di Nostro Signore Gesù Cristo è, per me, un motivo di riflessione e preghiera. Penso che quei piedi che avevano percorso la Galilea e la Giudea annunziando la lieta novella ai poveri e ai diseredati, che avevano recato dappertutto conforto e amore, che erano stati a contatto della polvere delle strade e delle miserie del mondo, quei piedi ora sono immobilizzati sulla croce. Quei piedi che erano stati lavati dalle lacrime della peccatrice, che furono asciugati dai capelli di lei, ora erano bloccati affinché non potessero fare più del bene. Il mondo aveva fatto la sua vendetta del messaggio incomprensibile d’amore predicato e messo in pratica da Gesù: non poteva tollerare oltre che la sua catechesi fosse messa in dubbio e sovvertita. Nella sua cecità il mondo aveva inteso mettere a tacere quella voce, quel corpo, quelle membra.
Il sesto momento è uguale al quinto nella riflessione e considerazione di quei piedi che avevano sorretto e sostenuto umanamente il Figlio di Dio e di cui Lui si era servito per far conoscere a tutti gli uomini di buona volontà il lieto annunzio.
I condannati alla pena della croce morivano in seguito ad asfissia: il peso dei visceri addominali abbassavano il diaframma rendendo difficile la respirazione che avveniva quasi esclusivamente facendo sforzo sui muscoli intercostali. In quasi tutti i crocifissi che circolano, grandi o piccini, l’addome di Gesù appare piatto se non addirittura infossato. Penso che questa immagine non corrisponda al vero, perché i visceri addominali,nello spasmo della sofferenza, scendevano in basso riempiendo tutta la cavità pelvica e trascinando verso il basso anche il diaframma. In queste condizioni il crocifisso per respirare doveva fare affidamento esclusivamente sui suoi muscoli intercostali. Per cercare di ovviare, almeno in parte e momentaneamente, a questa “fame d’aria” il crocifisso appoggiava il peso del corpo sui piedi inchiodati riuscendo in questo modo ad inspirare ed espirare. Questo comportava, come è comprensibile, un dolore acuto e straziante sui piedi senza per questo ottenere un gran sollievo alla fame d’aria. La morte sopraggiungeva non troppo presto e avveniva o per insufficienza respiratoria o per tetanizzazione dei muscoli intercostali che affaticati e pieni di acido lattico alla fine si rifiutavano di funzionare conducendo alla morte il suppliziato. Allo scopo di impedirgli di usare l’espediente di poggiare il peso del proprio corpo sui piedi inchiodati, al condannato, allo scopo anche di abbreviare le sue sofferenze, venivano spezzate le gambe. A Gesù questo fu risparmiato, ma tutto il resto il Nostro Signore dovette sopportarlo.
Il settimo ed ultimo momento di riflessione è il colpo di lancia che gli squarciò il costato. Pure da morto ebbe a sopportare gli insulti del mondo!!! Ma il Creatore del mondo non poteva essere sconfitto e anche da morto lanciò un altro messaggio. Il colpo di lancia fece uscire sangue ed acqua. Forse da un punto di vista anatomopatologico la fuoriuscita di sangue ed acqua è giustificato dal supplizio sopportato: prima le percosse dei servi del gran sacerdote, poi la flagellazione, il percorso al Golgota, per non parlare dell’angoscia mortale del Getsemani e la notte insonne. Nell’uomo della Sindone, che se non è Gesù gli rassomiglia molto, tutti questi supplizi hanno lasciato delle tracce più che evidenti. Sono reali ed evidenti le ecchimosi per le percosse, il naso rotto, uno zigomo tumefatto, ecchimosi ed escoriazioni in tutto il corpo. Questo sangue abbondantemente effuso mi fanno pensare a quale prezzo sono stato pagato, quale è stato il prezzo del mio riscatto. E l’acqua uscita dal tuo costato, Signore mio Dio, è l’acqua del mio battesimo che mi ha consacrato a Te. Quest’acqua che non lascia in noi segni evidenti, ci ha segnati per l’eternità più ancora della circoncisione dei discendenti di Abramo. Quest’acqua che tutto lava e tutto purifica è sgorgata dal suo Corpo Santo per la nostra redenzione. E’ stata messa a nostra disposizione perché noi non si sia più lontani da Dio, ma immessi in questa acqua che ci avvolge completamente, possiamo essere diversi da quello che eravamo, non solo esternamente ma, sopratutto, spiritualmente.
Ed io Credo, Signore. La preghiera croata si termina infatti con la recita del simbolo della nostra fede, col credo.

Ho voluto raccontare fin ora delle sofferenze fisiche di Gesù, cioè della sua crocifissione. Spesso, pensando alla Passione di Cristo, ci capita di limitarla a quanto patì Gesù soprattutto dopo il suo arresto e ci dimentichiamo delle sue sofferenze prima dell’arresto, in particolare, le sue sofferenze dell’orto del Getsemani. Dobbiamo fare qualche passo indietro e precisamente alle tentazioni del deserto, dopo il battesimo di Gesù. (Lc. 4,13) “Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.” “Per ritornare al tempo fissato”, manco se dovesse riscuotere una cambiale, ecco che il diavolo si ripresenta a Gesù. Per dirgli cosa? Per dirgli: “ Ma chi te lo fa fare! Credi davvero di poter cambiare l’uomo? L’uomo è cattivo per natura e non cesserà mai di ribellarsi a te”. Che l’uomo sia continuamente attratto da male, non c’è dubbio, però ”laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm.5,20). S. Paolo ci conforta assicurandoci che quanto più satana cercherà di sedurre l’uomo, tanto più il Padre manderà sull’uomo grazia su grazia per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore.
Questa fu la tentazione di Gesù, certamente non marginale, ma sicuramente né determinante né la più pesante da sostenere da Gesù. C’è di peggio. In quella notte tragica nel giardino del Getsemani, Gesù cominciò ad essere attanagliato dalla paura, ad essere preso dall’angoscia. Confessiamocelo. Certe volte si è affacciata alla nostra mente l’idea che Gesù avesse avuto un attacco di pusillanimità, che gli fosse venuto a mancare il coraggio, quello fisico. Non che non ne avesse motivo conoscendo in anticipo la prova cui stava per essere sottoposto, ma, ciò non ostante, l’idea maligna stenta ad allontanarsi dalla mente. Non che non si tenti in tutti i modi di cancellarla dalla mente, ma ritorna sempre più petulante. Eppure, se noi andiamo un più a fondo, vediamo che il nostro sospetto è del tutto infondato.
Nel Getsemani Gesù (Mt 26,38) Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». - (Lc. 22,41) ”Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: [42]«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà. Ecco Gesù qui è preso da una paura mortale, da un’angoscia indicibile. Era paura per le sofferenze che sapeva di dover subire? Certamente Gesù aveva paura umanamente delle sofferenze che certamente non amava; ed anche la morte come uomo lo terrorizzava. Tutto ciò è molto comprensibile. Ma riguardo a questo momento di Gesù vorrei aprire una piccola parentesi. In una conversazione radiofonica ascoltata diversi anni fa da una stazione a diffusione locale, proprio in occasione della settimana Santa, fu sostenuta l’ipotesi che Gesù nel Getsemani abbia subito un infarto cardiaco. Non ho capito in base a quali dati clinici sia stata avanzata, diciamo così, questa diagnosi. Certamente il comportamento di Gesù da questo momento in poi appare come rallentato, quasi assente, a momenti. (Is. 53,7)Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. L’ipotesi dell’infarto non toglie ovviamente nulla alle sofferenze di Gesù, solo che le sue preghiere furono, almeno in una piccola parte, dal Padre esaudite.
Ma torniamo ancora all’angoscia di Gesù. Paolo nella sua lettera ai Galati afferma Gal 3,13… “diventando lui stesso(Gesù) maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno”. La crocifissione in Palestina non era certamente sconosciuta e Gesù sapeva di quale morte sarebbe dovuto morire: appeso al legno, sulla croce. Io sono portato a credere che non fosse la paura della morte, della sofferenza a creare l’angoscia in Gesù. L’idea di poter essere separato, seppure temporaneamente dall’amore del Padre, era per Lui fonte di angoscia e di terrore. Gesù che era vissuto in continuo contatto col Padre, Gesù che si ritirava, spesso all’alba, frequentemente tutta la notte, per pregare, per riunirsi in colloquio col Padre, ora doveva accettarne, non solo la separazione, ma perfino l’inimicizia. Era solo!! Questi sentimenti, io credo, ottenebravano angosciosamente l’animo di Gesù. E’ quella che Padre Cantalamessa ha chiamato psicologia del profondo. Entrare nel profondo, superare, per così dire, l’amore e l’ubbidienza filiale al Padre che rimanevano intatti, per mettere a nudo l’origine di quell’angoscia che attanagliava il cuore Gesù.
L’Apostolo Paolo ci dice, infatti: (2Cor 5,21) “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”. Tutto il peccato del mondo, quello passato, quello presente e anche quello futuro fu caricato sulle spalle di Gesù perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. E’ stato il prezzo del mio riscatto. E’ il prezzo da Te pagato, o mio Gesù, perché io potessi rivolgermi a Dio chiamandolo “Padre”. Per quasi una giornata, dal Tuo arresto fino alla resa dello Spirito, il Padre Ti ha voltato le spalle personificando in Te tutto il male del mondo. Tutti noi peccatori eravamo tutti presenti a Te in quei momenti.
(Mat 27,46)”Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “ Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Fino a questo momento, mio Signore, sei stato silenzioso e muto come pecora condotta al macello, ma ora lanci questo grido che è preghiera (Sal 22,2) ”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza: sono le parole del mio lamento” e contemporaneamente invocazione. Gesù sta per morire e si sente solo, si sente abbandonato. Ciascuno di noi, al momento della propria morte, spera di essere consolato dalla presenza di Gesù; e sa nel suo intimo che sarà così. Gesù invece muore solo, non ha la consolazione del Padre. Sulla Croce Gesù è la personificazione del male e tra il male e Dio non ci può essere contatto alcuno. Dio è sommo bene e in Lui non c’è neppure l’ombra del male, pertanto non poteva avere alcun contatto con colui che era la personificazione del male. Fin quando Gesù è ancora in vita, il Padre è lontano da lui, dopo che Gesù è morto, poiché “chi è morto, è ormai libero dal peccato” (Rom. 6,7), Dio ritorna ad essere il Padre suo.
Io credo che questa fosse l’angoscia mortale che attanagliava il cuore di Gesù. Cercava conforto negli Apostoli che, però erano oppressi dal sonno. (Mt.26,38) “Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Il Signore Gesù cercava aiuto e conforto, ma l’uomo non gli ne ha dato. Per ben tre volte il Signore ha cercato consolazione, ma l’uomo ha preferito dormire. Non diciamo: ”Io non c’ero!” perché c’eravamo tutti. (Matteo cap. 26) [44]E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. [45]Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. [46]Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina».

NOTA. Devo confessare che questa mia lettura del testo non è l’unica possibile. Esegeti che hanno dedicato allo studio delle Sacre scritture la loro intiera vita, come Don Giovanni Deiana cui in particolare mi sto riferendo in questo momento, traducono “ Dio fece sacrificio di espiazione colui che non aveva conosciuto peccato”. Giustificando così la sua traduzione: “”Nei LXX infatti il termine αμαρτια (amartìa) assume sia il significato di peccato sia quello di “sacrificio di espiazione” dall’ebraico (hatta’t ) (G. Deiana Dai Sacrifici dell’Antico Testamento al Sacrificio di Cristo Pag.88 Edizione Urbaniana University Press 2002)

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