lunedì 22 marzo 2010

IV DOMENICA DI QUARESIMA

QUESTA DOMENICA VOGLIO ANNOIARVI PIU' DEL SOLITO: RIPORTO LE MIE RIFLESSIONI ATTUALI E QUELLE SCRITTE NELL'ANNO C DEL 2001. PERDONATEMI QUINDI LA LUNGAGGINE.
IV° DOMENICA DI QUARESIMA
14 – 03 – 10
(Luca cap. 15,1-3;11- 32)
Per questa 4° Domenica di quaresima la Santa Liturgia ci propone la parabola del “figliol prodigo” o del “prodigo” o, come oggi si tende a intitolarla, del “Padre misericordioso”. La prodigalità è il contrario dell’avarizia e sono entrambe colpe di “dismisura” nell’uso dei beni materiali e Dante nel Purgatorio li incontra nella quinta cornice, mentre stanno col viso rivolto a quella terra che tanto hanno stimato. E’, questa, una delle parabole di Gesù più note tanto, che mi sembra superfluo riportarne il testo. Nella pratica della “lectio divina” distinguiamo diversi passaggi, o momenti, che nella prassi tendiamo ad unirli in unico momento. Il primo momento è, ovviamente, la lettura del testo, la “lectio” seguito dalla “scrutatio”, cioè la ricerca di passi paralleli, o assimilabili, per meglio penetrare il senso del brano in esame. Un terzo momento è la “meditatio” che è l’attualizzazione personale del brano, cui seguirà la “oratio” e la “contemplatio”.
Essendo il brano ben conosciuto, iniziamo direttamente dalla “meditatio”. In questa parabola dove mi colloco io con la mia vita? Quale ruolo ho? Sono proprio sicuro di non aver sperperato la vita che il Signore mi ha dato? Anche io a un certo punto della mia vita ho detto: ”Voglio vivere a modo mio, voglio fare come fanno tutti”. E ho voltato le spalle al Signore mio Dio andandomene lontano da Lui, in un paese non fisico, ma dove credevo di trovare la felicità dei sensi, di godere della mia vita, di fare altre esperienze. Ritrovandomi con l’amaro in bocca sono ritornato a Lui che stava instancabilmente ad aspettarmi dall’alto della torre, pronto ad accogliermi misericordiosamente con le braccia aperte. Nella parabola il figliol prodigo ritorna al Padre, è da credere, veramente pentito e guarito da ogni desiderio ulteriore di evasione. Io sono stato peggiore di lui perché sono andato via da Lui e ritornato un’infinità di volte, approfittando della sua misericordia. Oltre questo, cosa posso dire ancora? La consapevolezza di avere sprecato quella vita che con tanta generosità il Signore mi ha dato, continua a darmi l’amaro in bocca. Avrei potuto impiegare meglio quella salute e quella intelligenza che il Signore mi ha concesso, ma non le ho sapute utilizzare al meglio; troppe volte ho utilizzato quei doni in modo e per fini sbagliati. Non sono ipercritico nei miei riguardi, ma mi sforzo di essere obbiettivo e di vedere il tutto da una visione esterna a me.” Spesso accade che, guardandosi nel cuore e pensando a Dio, si provi un disagio difficilmente definibile, come se Dio non fosse contento delle nostre scelte, della nostra vita” . A questo si aggiunge un senso di inadeguatezza, di incapacità a fare da solo la volontà di Dio, a seguire i suoi insegnamenti fino in fondo. Mi rendo naturalmente conto che la mia situazione è comune a molti, per non dire alla stragrande maggioranza dei credenti e che fidiamo tutti nella infinita misericordia di Dio, ma la consapevolezza del male che alberga nel cuore dell’uomo, e in me, non mi consola dall’avere male utilizzato la mia vita e apre il mio cuore alla speranza.
[25]Il figlio maggiore si trovava nei campi e quando sente la festa che il Padre ha organizzato per il figlio ritrovato, si indispettisce e non vuole più entrare in casa. Ho dei punti di contatto con questo altro personaggio? Certamente quando mi erigo a giudice di persone e fatti, direi che mi calo proprio in quel discusso e discutibile personaggio. “ Non giudicate, per non essere giudicati” (Mt.7,2). Per noi uomini, e per me, giudicare coincide col condannare. Si condanna per ignoranza il più delle volte, perché non conosciamo esattamente l’atto o la persona che stiamo giudicando, ma si condanna anche, piuttosto spesso, per invidia, per gelosia o per istintivo rifiuto verso una persona; che neppure conosciamo personalmente. “Si trovava nei campi”, faceva il suo dovere di figlio. Ma lo faceva con amore, o non, piuttosto, con uno spirito da ragioniere: “Ho dato tanto, mi spetta altrettanto”? Quante volte sono andato a messa con questo spirito ragionieristico del dare ed avere? Andare a messa, partecipare ai riti liturgici senza amore è calarsi nei panni del figlio maggiore il quale non si è ribellato apertamente al Padre come il fratello minore, forse, solo perché gli è mancato il coraggio, ma nel profondo era peggiore di suo fratello. Ha vissuto in casa del Padre non da figlio, ma da servo; ligio alla legge, ma privo d’amore. Questo non si sente peccatore, come il fratello minore, si ritiene giusto, anzi, talvolta, anche più giusto di Dio… Chi non ha mai sentito la frase: Perché Dio permette queste cose?”
Non possiamo cambiare ciò che abbiamo fatto nella nostra vita, ma dobbiamo riconoscere con amore e gratitudine questo Padre, veramente “misericordioso”, che ci ha atteso paziente per accoglierci a braccia aperte lieto del nostro ritorno. Non ci rimane che chiedere a Lui, che tutto può, di darci tutti i giorni quel “pane quotidiano”, che è il fare la sua volontà che è “amarlo, adorarlo e servirlo in questa vita” per goderlo nell’altra per l’eternità.
Marko Ivan Ruptnik “Gli si gettò al collo”

25 marzo 2001

Questa parabola un tempo era chiamata la parabola del figliol prodigo. Ora, più opportunamente, la si definisce quella del “padre misericordioso”. Un conto è, infatti, partire dal figlio ed un conto è partire dalla figura del Padre.
A Gesù gli scribi e i farisei avevano posto una domanda: ”Perché mangi con i peccatori?” E la parabola è la risposta a questa domanda. E’ da dire che tutti possiamo condividere l’obbiezione dei farisei. “Perché frequenti gente disonesta?” Sappiamo bene quanto anche noi stiamo attenti a non farci vedere in giro con della gente di dubbia reputazione. E sappiamo di quanto i politici siano attenti a non farsi fotografare o vedere con persone coinvolte nella mafia. Quindi noi per primi avremmo formulato le stesse riserve, impastati come siamo di perbenismo. Lo scandalo degli scribi e dei farisei è il nostro scandalo. Gesù invece dà fiducia a tutti. Neppure la donna scoperta in fragrante adulterio è da Lui condannata: non la considera perduta. Dio accorda fiducia a tutti e la condiscendenza del padre ad accogliere le richieste, certamente ingiuste, del figlio minore non è dabbenaggine, ma è l’espressione della assoluta libertà che Dio ha concesso all’uomo e della fiducia che Dio ha nel suo immenso amore. Il Signore è convinto che il suo amore farà breccia nel cuore del figlio, della prostituta. E’ un amore smisurato e che mai può venir meno qualunque strada l’uomo decida di intraprendere. Il figlio, dopo che avrà dato fondo a tutte le sue illusioni, si accorge che l’amore del padre è eterno. Il nuovo ambiente, la sua nuova situazione, il suo nuovo libero stato non lo soddisfa, non lo sfama, non gli dà neppure quelle carrube dì cui si nutrono le bestie. Le esperienze che ha vissuto lontano dal padre non gli danno neppure le forze per alzarsi in piedi e camminare, gli mancano persino le forze. Ma l’amore del padre di cui si ricorda, questo gli dà la forza di mettersi in piedi e mettersi in cammino verso il padre.
L’immagine di Dio impressa al momento della creazione non sarà mai cancellata totalmente dal cuore dell’uomo. La fedeltà di Dio al suo amore dà la certezza all’uomo di poter ritornare, di non essere respinto. Dio non respinge mai nessuno, ma lascia sempre la speranza di un ritorno: tale è l’amore indelebile del Padre impressoci al momento della creazione. Dovunque andiamo, qualsiasi cosa facciamo alla fine l’uomo non potrà non incontrare Dio. Gregorio di Nissa paragonava la vita dell’uomo ad una sfera, sulla cui superficie c’è l’immagine di Dio creatore e della sua creatura. La creatura crede di allontanarsi da Dio e vaga in questa sfera, e credendo di avere persino dimenticato l’immagine di Dio si trova, dopo il suo lungo peregrinare, a incontrare nuovamente Dio.
Il figlio prodigo si illude di avere tagliato tutti i ponti col padre: egli agisce nella sua libertà, ma alla fine, dopo aver pagato tutte le conseguenze delle sue scelte, l’amore del padre sarà l’unica sua speranza e certezza. Siamo di fronte in questa parabola alla epifania dell’amore del Padre.
Nessuno gli dà le carrube che potrebbero dargli la forza per mettersi in piedi e dirigersi verso il Padre. Ma lo stesso amore del Padre sarà la sola forza capace di metterlo in cammino. Al Padre che ha manifestato una incrollabile fiducia nell’uomo. Il Padre sembrerebbe quasi che se ne stesse su una torre ad aspettare questo figlio perduto per gli uomini ma non per Lui, perché lo vede da lontano e gli corre incontro gettandoglisi al collo. Quasi non lo fa parlare, non lo rimprovera di nulla e tanto meno gli prospetta una qualche punizione: “ Su! su! Facciamo festa. Solo questo importa in questo momento di gioia”. Gli mette la veste più bella: quella con le maniche lunghe, come quella che Giacobbe fece per il figlio Giuseppe suscitando l’invidia dei fratelli, i calzari ai piedi, l’anello al dito, segno di dignità e di nobiltà. Non gli chiede conto del patrimonio che gli aveva consegnato e di che fine questo abbia fatto. No. E’ solo un momento di gioia. E non gliene chiederà conto neppure dopo. Certamente non agisce, questo padre, e non ragiona come ragiona il mondo: ad un errore, per non dire una colpa, un delitto DEVE corrispondere una punizione; altrimenti non c’è giustizia. E di questa opinione del mondo si fa paladino il fratello maggiore, che ragiona così come ragioniamo noi: non c’è giustizia. “Io non ti ho mai chiesto nulla, non mi hai mai dato nulla, ti ho solo servito fedelmente e tu ora fai festa per questo figlio che non merita. Non ha mai lavorato, ha sperperato la fortuna che tu gli hai dato, e tu ora lo metti in trono come se fosse un re”. “ Tu sei misericordioso? Mi sta bene. Ma questa tua misericordia, in questo caso almeno, è eccessiva. ”
La misericordia del Padre è talmente grande e fuori dei nostri schemi che non solo ci sorprende, ma ci sconcerta persino. Sembra quasi un’ingiustizia, ma se, come S. Gregorio Magno, pensiamo che la misericordia del Padre è talmente immensa che non ci si può mettere a tavola gustare quei cibi grassi e succulenti, di cui parla Isaia, se prima tutti, ma proprio tutti i figli siano seduti attorno alla tavola.

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