martedì 22 dicembre 2009
SACRA FAMIGLIA
SACRA FAMIGLIA
27 – 12 - 2009-
(Luca cap. 2) [41]I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. [42]Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; [43]ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. [44]Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; [45]non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. [46]Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. [47]E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. [48]Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». [49]Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». [50]Ma essi non compresero le sue parole. [51]Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. [52]E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
La famiglia di Nazaret è figura e modello della famiglia cristiana in cui non mancano angosce e preoccupazioni che si risolvono con fede e umiltà. Possiamo immaginare anche oggi quale angoscia e sofferenza abbiano provato Maria e Giuseppe non trovando Gesù, per loro fanciullo ignaro ed inesperto, non trovandolo tra gli amici e i parenti alla prima sosta del viaggio di ritorno dopo la Pasqua. Quale ambascia nel ripercorrere a ritroso la strada verso Gerusalemme sulla sorte del fanciullo loro affidato e del quale, forse, col passare degli anni, con gli anni era come svanito il ricordo della sua origine non totalmente umana. Penso, ed è plausibile, che il ritorno a Gerusalemme l’abbiano fatto in minor tempo di quello impiegato da Gerusalemme al punto della prima sosta. Ritornati in questa grande città, per loro che venivano da un piccolo tranquillo villaggio della Galilea, dove cercare Gesù, a parte il posto, la locanda dove avevano alloggiato? Quanti pensieri, quanti rimproveri ciascuno avrà rivolto a se stesso! Io mi sforzo sempre di umanizzare la loro storia per non avvolgerla in un alone mitico, di irrealtà che la renderebbe incomprensibile e lontana. Il loro “Sì” affermativo fu dato nell’incertezza del domani. Maria rischiava la lapidazione pubblica, né più e né meno di una musulmana oggi accusata di adulterio. Giuseppe col suo “Sì” si era caricato di pericoli e angosce: la fuga in Egitto per scampare alla morte il Bambino e forse anche se stesso; la vita di emigrante in una nazione in cui non so quanto fossero bene accetti; la ricerca di un lavoro per sopravvivere; ed ora la scomparsa del Fanciullo. Comunque sia, lo trovarono dopo tre giorni – e non è questa una notizia casuale – nel Tempio mentre con grande intelligenza interrogava i dottori della Legge. Il nostro amore, talvolta cieco, ci fa leggere che “il Fanciullo Gesù insegnava ai dottori della legge”. L’evangelista Luca, che ci racconta questo episodio, ha i piedi per terra ed evita accuratamente di lasciarsi trascinare da facili entusiasmi come è successo agli apocrifi che hanno voluto scrivere di Gesù raccontandoci episodi poco credibili.
A noi oggi, alle soglie del 2010, l’episodio di Gesù che interroga i dottori della Legge cosa ci dice? Ci dice dell’umanità di Cristo che, pur essendo nel seno del Padre dall’eternità, umanamente ha la necessità di andare al Padre attraverso la Parola dal Padre fino ad allora rivelata, cioè la Legge. Anche noi non possiamo andare al Padre se non conosciamo Gesù Cristo, se non ci avviciniamo alla Verità da lui rivelata, se non ci avviciniamo a lui che è la Verità.
lunedì 14 dicembre 2009
QUARTA DOMENICA DI AVVENTO
20 .12 . 2009
(Luca cap. 1) [39]In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. [40]Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. [41]Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo [42]ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! [43]A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? [44]Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. [45]E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».
“Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà.”, come dice la seconda lettura tratta dalla lettera agli ebrei. I sacrifici cruenti di una volta sono stato aboliti perché il Signore stesso si è fatto “sacrificio”; non più animali da macellare, non più primizie da offrire a Dio, ma il Signore offre il suo Figlio unigenito. Non c’era altro modo per riscattare l’uomo che ri-fondare, fondare di nuovo, l’uomo attraverso il sacrificio più alto, più eccelso: quello del Figlio di Dio, di Dio stesso. Solo il Creatore poteva riparare quello che l’uomo aveva contaminato con la sua disobbedienza. Per fare la tua volontà, mio Dio. A livello più umano anche Maria, col suo “SI’”, fa la volontà di Dio. Anche Elisabetta fa la volontà di Dio. Così pure Giuseppe, così Pietro e suo fratello Andrea, così Giovanni col suo fratello Giacomo e tutti gli Apostoli, tutti fanno la volontà di Dio, cioè entrano volontariamente, in piena libertà, nel progetto salvifico di Dio. Il Signore ci ha fatti liberi e se ci sono delle catene che ci legano sono quelle che noi stessi ci siamo costruite. (Cfr. Deut. 30,15ss.) Ora, per le persone che abbiamo citato prima è stata fatta un’eccezione? Sono stati in qualche modo condizionati e hanno fatto quello che non avrebbero voluto fare? In tal caso non hanno meriti, perché non erano liberi di scegliere. Io sono invece convinto che scelsero in piena libertà, compresa la Vergine Maria. Mi piace pensare che Maria e Giuseppe avessero altri progetti per la loro vita; e così anche Pietro e tutti gli Apostoli. Di Paolo sappiamo che era nei suoi progetti incatenare i seguaci di Gesù il Nazzareno. Eppure tutti questi hanno detto: :<>. Certe volte è stato un “Eccomi” sofferto, come quello, per esempio, di Tomaso, di Mosè, di Geremia ecc.
Anche noi siamo chiamati e, talvolta, per assumere un ruolo non cercato e che porta al sacrificio personale, all’annullamento di se stessi (vedi gli eremiti, le suore di clausura ecc.). Altre volte si è chiamati ad assumere da laici impegni nella Chiesa che, se non sono gravosi e annientanti agli occhi del mondo come quelli citati prima, non sono neppure tali da essere presi con leggerezza, comportando un impegno ed una dedizione che, anche se in piccolo, ti cambiano la vita. Rimane comunque la sensazione di lavorare nella Vigna del Signore.
BUON NATALE
lunedì 7 dicembre 2009
Terza domenica di Avvento
(Luca cap. 3) [10]Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». [11]Rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». [12]Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». [13]Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». [14]Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi che dobbiamo fare?». Rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe». [15]Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, [16]Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. [17]Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile».
[18]Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.
Questa terza domenica di Avvento nella liturgia prima del Concilio Vaticano II, aveva il titolo “Gaudete”. “Gaudete in Domino sempre”, cioè “state allegri nel Signore, sempre”. Non lasciamoci ingannare dal colore dei paramenti liturgici che non intendono il alcun modo indurci alla tristezza e al dolore, ma solo alla vigile attesa dell’annunzio della nostra salvezza. Sia il brano del profeta Sofonia, sia il canto del salmo di Isaia, sia, e soprattutto, il brano della lettera ai Filippesi, da cui era tratto il titolo “Gaudete”, ci invitano alla gioia, a non lasciarci scoraggiare. La scorsa settimana una voce dal deserto ci invitava a colmare ogni burrone, ad abbassare i colli, a raddrizzare i sentieri, ebbene oggi il Signore ci dice che sarà Lui a compiere ciò che per noi era sembrato difficile o impossibile. Lui stesso preparerà la strada per giungere a parlare ai nostri cuori, Lui l’Onnipotente. Sarà il Signore Gesù che parlerà ai nostri cuori, che penetrerà in essi e gli scioglierà per esseri ricettivi alla sua Parola. <
E noi? E noi, come le folle accorse ad ascoltare quella voce che gridava nel deserto, chiediamo: «Che cosa dobbiamo fare?». ) <<4]rallegratevi>>. Il brano del Vangelo di Luca ci dice come dobbiamo comportarci nell’attesa. Pratichiamo la carità e la giustizia; non quella giustizia importante, quella che si scrive nei tribunali con le lettere maiuscole, ma quella spicciola, quasi insignificante agli occhi del mondo ma preziosa davanti a Dio; quella carità e quella giustizia alla portata di ogni uomo, che non ha alcuna pretesa di rifondare il mondo. Cerchiamo di riempire d’amore quel piccolo spazio che ci circonda. Parafrasando un famoso slogan politico: <>. Giovanni Battista da anche delle indicazioni di comportamento ai pubblicani e ai soldati: <>. Come diceva un Cardinale americano: <>
Giovanni a chi gli chiede se è lui il Messia risponde che non lo è: Giovanni è solo il testimone della Luce. (Giovanni cap. 1)
[6]Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
[7]Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
[8]Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
[9]Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
martedì 1 dicembre 2009
II Domenica di Avvento
06 – 12 - 2009
(Luca cap. 3) [1]Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, [2]sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. [3]Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, [4]com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
[5] Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.
[6] Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
L’evangelista Luca, medico, preciso, quasi pignolo, ci dà precisa notizia della parola di Dio scesa su Giovanni nel deserto. Il brano di Isaia riportato dall’evangelista differisce un po’ dall’originale, [(Isaia cap. 40) [3]Una voce grida: /./ «Nel deserto preparate // la via al Signore,// appianate nella steppa // la strada per il nostro Dio.], ma la sostanza è immutata. Isaia riferisce di una voce impersonale che grida nel deserto, mentre Luca precisa che quella voce è Giovanni il Battista. Giovanni Battista non grida al deserto, ma ai suoi contemporanei e anche noi, se non siamo sordi: <>. Come? Innanzi tutto, liberando il nostro cuore e la nostra mente da altri pensieri e preoccupazioni, facendoli ricettivi alla parola di Dio (raddrizzate i suoi sentieri!), lasciate che essa giunga direttamente a noi, eliminiamo tutti gli ostacoli che il mondo ci frappone. <>: colmiamo gli abissi scavati dai nostri peccati, dalle nostre ribellioni.
(Giovanni cap. 1) [6]Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
[7]Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
[8]Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
[9]Veniva nel mondo
la luce vera,
Questo è Giovanni Battista. Perché grida nel deserto? Il deserto rappresenta l’esperienza forte fatta nel deserto del Sinai dal popolo ebraico; esperienza che rimarrà indelebile nell’animo del popolo ebraico e tutt’ora qualcuno desidera rifare l’esperienza dei padri pellegrinanti nel deserto. La parola deserto appare più di trecento volte nel A.T. e una quarantina di volte nel N.T. Il deserto è quindi quella indimenticata esperienza nota e cara ad ogni ebreo e capace di muovere i loro cuori all’ascolto di quella voce. Ma può anche significare, purtroppo, che quella voce grida in un deserto di ascolti, come è spesso nei nostri tempi. Se la si sente non la si ascolta e se per un po’ la si è ascoltata la si prega di tacere, quando non le si impone perentoriamente di tacere: non è gradita. Non è gradito sentirci dire di guardare dentro di noi, di fare esame di coscienza, di individuare i nostri peccati e confessarli battendoci il petto. No. Non è gradito. Preferiamo ignorare, preferiamo nascondere, preferiamo mettere la testa sotto la sabbia. Eppure… Eppure il Signore ci sta dando un’opportunità, ci sta per passare vicino, sta per chiamarci:
[16]Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Il Signore, mentre siamo in attesa del suo Unigenito, ci chiama nel deserto. Non è un deserto fisico, ma è un deserto che dobbiamo fare intorno a noi, dentro di noi, per poterci presentare di fronte a Lui liberi dagli orpelli che noi stessi ci siamo creati nella nostra vita. Togliamoci di torno tutto ciò che non è indispensabile alla nostra vita, - che non è “vita”, ma spesso morte - e diamo il giusto valore alle cose. Non è quindi che dobbiamo estraniarci da questa vita, da questo mondo nel quale dobbiamo comunque vivere, ma pensando ed agendo come non gli appartenessimo; e non gli apparteniamo. Se ci fermiamo un momento a riflettere ci accorgiamo che in fondo in fondo al nostro intimo affiora sempre un senso di insoddisfazione, di mancanza di qualcosa, di incompiutezza, che ci manca qualcosa cui non sappiamo dare un nome. Non sarà, per caso, l’insoddisfazione provocata dal nostro errato rapporto col nostro Creatore?
lunedì 23 novembre 2009
PRIMA DOMENICA DI AVVENTO
29 – 11 – 2009
(Geremia cap. 33) [14]Ecco verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. [15]In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. [16]In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.
(1Tessalonicesi cap. 3) [12]Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi, [13]per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.[1]Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. [2]Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
(Luca cap. 21) [25]Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, [26]mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
[27]Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.
[28]Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». [34]State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; [35]come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. [36]Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».
In linea di massima, il brano evangelico proposto si spiega, si integra, si completa con il brano del V.T., mentre, talvolta, il brano delle lettere suggerisce all’assemblea modi e modelli comportamentali del cristiano.
Questa prima domenica di Avvento, la liturgia ci propone un brano del Vangelo di Luca che annunzia uno sconvolgimento cosmico tale che nessuno si potrà sottrarre ad esso, riguarderà proprio tutti; ebrei e non ebrei, credenti e atei, tutti saranno coinvolti in questo sommovimento che sta per accadere. Perciò invita a non lasciare che le preoccupazioni del mondo abbiano il sopravvento sulla doverosa attenzione da porre al compiersi di questo avvenimento che sconvolgerà gli assetti conosciuti del mondo. Peggio ancora se i cuori sono appesantiti da comportamenti viziosi quali ubriachezze, dissipazioni, orge, ecc.
Il brano del libro del profeta Geremia ci rammenta la promessa del Signore: < [15]In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. E’ questo evidentemente lo sconvolgimento epocale di cui ci ha parlato il brano evangelico. E lo è veramente. Ha sconvolto solo la vita degli ebrei, dei credenti? . No, ha modificato il modo di agire e di pensare di tutto il globo. Innanzi tutto, il calendario. In tutto il mondo oggi si datano gli anni a partire dalla nascita di Gesù Cristo. Ormai è talmente consolidato che non si scrive neppure dopo Cristo, tanto tutti lo sanno. Anche gli ebrei, pur usando un pleonasmo (E.v. Era volgare) per non fare riferimento al Cristo, fanno comunque riferimento alla nascita di Gesù. E così per tutti gli altri popoli non cristiani. L’etica, la morale, rispettata o no, fa riferimento a quella dettata da Gesù Cristo. Non è stato questo uno sconvolgimento epocale ? Non è stato questo avvenimento una nuova creazione? Si è passati dal regime della Legge al regime della Grazia, dirà Paolo nella lettera ai Romani.
Il brano della prima lettera ai Tessalonicesi ha invece dei suggerimenti pratici per il cristiano che possono sintetizzarsi in tre punti. Primo: pregare. Pregare perché il Signore illumini le nostre menti e ci faccia penetrare sempre più in profondità nella comprensione di questo mistero facendoci diventare veri ed autentici seguaci di Cristo. Secondo: comportarci da cristiani, cioè amare, amare sempre. Amare non significa buttare le braccia al collo del mio fratello, ma rispettarlo, accettarlo, pensare sempre che il mio fratello è migliore di me. Terzo pregare perché il Signore ci aiuti a realizzare tutti questi propositi, perché da soli non ne saremo mai capaci.
mercoledì 18 novembre 2009
Gesù Cristo re dell'universo
ecco apparire, sulle nubi del cielo,
uno, simile ad un figlio di uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui,
[14]che gli diede potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano;
il suo potere è un potere eterno,
che non tramonta mai, e il suo regno è tale
che non sarà mai distrutto.
(Apocalisse cap. 1)[5]e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, [6]che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
[7] Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà;
anche quelli che lo trafissero
e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto.
Sì, Amen!
[8]Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!
(Giovanni cap. 18)gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». [34]Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?». [35]Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». [36]Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». [37]Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Con questa domenica, in cui si festeggia la regalità di Gesù Re dell’universo, siamo giunti alla fine dell’anno liturgico B. La prossima domenica inizia l’anno C e sarà la Prima Domenica di Avvento.
In tutte e tre letture viene esaltata la regalità di Gesù: le prime due presentandocelo in una visione escatologica. Il sogno di Daniele vede un uomo giungere sulle nubi ed essere presentato al “vegliardo”, a Dio che gli dà potere su tutte le nazioni della terra. L’Apocalisse identifica questo figlio d’uomo in Gesù Cristo testimone fedele che sarà riconosciuto alla fine dei tempi da tutta l’umanità, anche da coloro che lo combatterono e rinnegato sulla terra, battendosi amaramente il petto con le mani intrise del suo sangue. Il vangelo di Giovanni ci racconta la dichiarazione di regalità fatta da Gesù di fronte a Pilato:
ma doveva render testimonianza alla luce.
[9]Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Gesù era venuto nel mondo per testimoniare la luce vera. Quindi Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre e il regno di Dio è il regno della luce. Quella luce arcana, inimmaginabile che penetra ogni uomo mettendo in evidenza la sua intima essenza creaturale, alla luce della quale nulla rimane nascosto. Dio non è quella luce cruda, violenta che noi conosciamo, ma è una luce soffusa di dolcezza, di benessere, d’amore che porta pace e tranquillità, che spinge ad aprirsi all’amore a Dio attraverso i propri simili. In quel regno ciascuno sarà cullato in quella luce riassaporando per un attimo eterno la dolcezza dell’amoroso abbraccio materno. Per me Gesù è il re di quel regno. Per questo Egli è venuto, questa è l’Evangelo, la Bella Notizia.
martedì 10 novembre 2009
33° Domenica
(Marco cap. 13) [24]In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà
e la luna non darà più il suo splendore
[25] e gli astri si metteranno a cadere dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
[26]Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. [27]Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.
[28]Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina; [29]così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. [30]In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. [31]Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. [32]Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
“Dopo quella tribolazione” è la guerra giudaica combattuta dai romani tra il 66 e il 70 d.C. conclusasi con la presa di Gerusalemme, dopo un lungo e sanguinoso assedio, e la distruzione del Tempio. Assediati erano giudei e giudeo-cristiani. I giudei prudenti e ben pensanti seguirono Yochanan Ben Zakkai che col permesso dei romani (Vespasiano)si rifugiarono a Yavne dando origine al rabbinismo, mentre i giudeo-cristiani trovarono scampo a Pella sui monti della Giordania. La guerra era originata dal costante rifiuto del popolo ebraico alla ellenizzazione prima e alla resistenza antiromana poi. Avvenimenti tragici e dolorosi, ma a noi, a distanza di duemila anni, cosa hanno comportato? Nel popolo ebraico la distruzione del Tempio ha comportato la perdita di un posto sacro dove pregare Dio e quindi la diaspora. La sacralità del Tempio di Gerusalemme è stata sostituita dalla sacralità della Torah e altre conseguenze che non stiamo ad esaminare. Per il popolo cristiano l’imminenza, almeno per il primo e secondo secolo, del ritorno di Gesù come giudice. I cristiani erano soliti riunirsi per i sacri riti il primo giorno dopo il sabato, in “Dies dominica”, perché da Risorto era apparso ai discepoli sempre di domenica e speravano che il Signore sarebbe ritornato, come aveva promesso, di domenica. Però a differenza delle prime apparizioni, in cui si presentava augurando
Tutto questo, dopo duemila anni, ancora dura: gli ebrei senza Tempio e il popolo cristiano nella attesa di quel giudice che metterà a nudo le colpe di ognuno. Tutti i cristiani aspettiamo il ritorno di Gesù, ma se pensiamo che allora saremo giudicati cominciamo a pensare che ciò avvenga il più tardi possibile.
<<(Giovanni cap. 21) [22]Gesù gli rispose: «Se voglio che egli (Giovanni) rimanga finché io venga, che importa a te? Tu (Pietro) seguimi ». [23]Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto,>> Gesù ha invitato Pietro a seguirlo e Giovanni a rimanere. Pietro è l’Apostolo della forza, dell’intraprendenza, del dinamismo, Giovanni e l’Apostolo dell’amore. Noi dobbiamo seguire Gesù, nella attesa del suo ritorno, facendo ciò che faceva Lui, con coraggio ed intraprendenza senza retrocedere di fronte alle minacce del mondo, dichiarando e praticando la nostra fede nel Padre e nel nostro Signore Gesù. Seguire Gesù facendo di Lui il Kirios, il Signore, della nostra vita, come Pietro. Amare come Giovanni che rimane in amorosa attesa del ritorno dell’“Amato”. Giovanni rimane nella attesa del suo Signore come un innamorato nella attesa di incontrare nuovamente la persona amata dopo che ha fatto esperienza di quell’amore. Ciascuno di noi, nel proprio intimo, conserva un ricordo, un motivo, un avvenimento che lo collega a quel Gesù che ci ha amati per primo.
lunedì 2 novembre 2009
LECTIO DIVINA
(1Re cap. 17) [10]Egli si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un pò d'acqua in un vaso perché io possa bere». [11]Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Prendimi anche un pezzo di pane». [12]Quella rispose: «Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un pò di olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». [13]Elia le disse: «Non temere; su, fà come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, [14]poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra». [15]Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni. [16]La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia.
(Marco cap. 12) [38]Diceva loro mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, [39]avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. [40]Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave».
[41]E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. [42]Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. [43]Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. [44]Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Stavolta la mia attenzione è stata catturata dall’atteggiamento della vedova di Zarepta, della sua disponibilità, del suo altissimo senso di accoglienza e di ospitalità. Lei non era ebrea e neppure cananea, e niente l’accomunava con quello sconosciuto, neppure la fede religiosa tanto da rivolgersi ad Elia non chiamandolo per nome, ma per la sua fede religiosa: «Per la vita del Signore tuo Dio>>. Questa vedova accoglie Elia ed è disposta a dividere con lui quanto le resta di cibo, non fa neppure caso alla scortesia del sant’uomo che non le chiede, ma le ordina. In lei era presente quel senso dell’ospitalità assente anche da noi. E’ un sentimento, quello dell’ospitalità, alquanto raro. Siamo soliti chiuderci nel nostro guscio, impenetrabile a chiunque, non solo nell’accogliere nelle nostre case uno sconosciuto, ma neppure nel nostro banco in chiesa. Se in chiesa entrano dieci persone, state certi che occuperanno dieci banchi: nessuno vuole sedersi vicino all’altro, come fosse un appestato. E non tiriamo fuori la scusa che è per l’intimità della preghiera! L’amore del prossimo è inseparabile dall’amore di Dio.
Chiusa questa parentesi, vediamo il Vangelo di Marco. Non si sono ancora spenti gli echi delle beatitudini della scorsa domenica che il Signore, nel brano che la sacra liturgia ci propone, ci da’ un esempio di cuori non sinceri, impuri che guardano più ai loro interessi che a quelli del Signore. Parliamo degli scribi, ovviamente. Ma chi erano questi scribi? Che funzioni avevano? Originariamente gli scribi (“Οι γραμματοι”, òi grammatòi – gli scribi) erano dediti alla trascrizione dei testi sacri divenendo esperti culturali delle tradizioni e della “Legge di Dio” per finire, col tempo, ad insegnare la tradizione e interpretare la fede di Israele attraverso lo studio delle Sacre Scritture. Ai tempi di Gesù, essendo per i loro studi divenuti esperti di diritto, facevano da avvocati ponendosi alla difesa dei diritti delle vedove, ma finendo per dissanguarle con le loro parcelle. Mi piace trascrivere quanto ha scritto uno studioso in proposito: < Ci si saluta per strada augurando per primi “shalòm alekà” a colui che si intende onorare. Quando i rabbini ambiscono il saluto, desiderano essere salutati “per primi”, e quindi di essere riconosciuti in pubblico come i maggiori >. Amavano occupare i primi posti nelle sinagoghe pretendendo, magari, un seggio più elevato o sedia con braccioli, erano soliti, dopo le cerimonie, uscire in piazza e passeggiare con ancora gli abiti cerimoniali, ovviamente per essere notati e riveriti. Ripetutamente Gesù ha mosso critiche a quelle persone influenti provocandone la loro mortale ostilità; il loro cuore rimaneva comunque arido e impenetrabile all’amore predicato da Gesù. Gli alti insegnamenti ideali e programmatici del cristianesimo che doveva nascere non trova presa in queste persone nei quali prevalevano i loro interessi personali; e si ritenevano pure saggi, sapienti e giusti!
L’ebreo maschio doveva saper leggere la parola di Dio e nelle sinagoghe si insegnava ai fanciulli almeno a leggere, se non a scrivere. E c’era per ogni ebreo l’obbligo di approfondire la Parola di Dio, pertanto, accontentarsi di una conoscenza della Parola per sentito dire, attraverso gli scribi, era una loro mancanza, se non colpa.
Al giorno d’oggi gli scribi - e anche i farisei come movimento religioso - sono scomparsi. Quello che non è scomparso, però è l’abitudine di affidare ad altri la conoscenza, l’approfondimento della Parola. La Sacra Scrittura, qualcuno ha detto, è la lettera scritta dall’amante all’amato; dove l’amante è Dio, che ha amato per primo, e l’amato è l’uomo. Chi è l’uomo, o donna, che rimanderebbe, o non vorrebbe neppure leggere, la lettera inviatagli dal proprio amante? “Aprite le porte a Cristo!”gridava Giovanni Paolo II.
martedì 27 ottobre 2009
LECTIO DIVINA
TUTTI I SANTI
Primo novembre 2009
(Matteo cap. 5) 1]Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. [2]Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: [3]«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
[4]Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
[5]Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
[6]Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
[7]Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
[8]Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
[9]Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
[10]Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11]Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. [12]Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
E’ questo l’inizio del Discorso della Montagna che si sviluppa per ben tre capitoli - dall’inizio del quinto alla fine del settimo - il discorso programmatico, la “Magna Carta” del Cristianesimo. L’abbiamo sentito e letto tante volte questo brano, ma con quale animo? Sono riuscito veramente a farlo mio, ad interiorizzarlo, o almeno, a renderlo attuale?
Dei tre Vangeli sinottici solo il Vangelo di Matteo e quello di Luca parlano di queste beatitudini, ma mentre per Matteo è il Discorso della Montagna, per Luca è il Discorso della pianura. Infatti, il primo il Vangelo era diretto agli ebrei (quindi riferimento alla montagna del Sinai e alla Legge), il secondo invece era diretto a popoli pagani per i quali la montagna non aveva alcun riferimento, e situa il discorso in pianura.
Tutto questo per noi ha un’importanza relativa, sebbene nella cultura cattolica abbia più risalto ed è più nota la versione di Matteo che non quella di Luca, forse perché anche in noi c’è un immediato riferimento alla montagna del Sinai e alla promulgazione delle dieci parole, dei dieci Comandamenti. Mettendo a confronto l’atmosfera presente alla promulgazione delle Tavole della Legge e quella delle beatitudini, notiamo un diverso tono, un diverso approccio. Si potrebbe dire che il Signore Iddio nel Sinai abbia un ciglio corrusco, severo: (Esodo cap. 20) [2]«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: [3]non avrai altri dei di fronte a me....> mentre nelle nove Beatitudini il Signore ci manifesta tutto il suo amore chiamandoci beati. Beati pur nella dimensione di creature soggette al peccato. Peccatori eppure beati agli occhi di Dio, nella sua immensa misericordia. Noi meritiamo la morte e i castighi riservatici e promessi ai peccatori nell’Antico Testamento, ma Dio non può alzare la mano su di noi perché siamo immagini del Cristo suo Figlio essendo innestati in Gesù Cristo col battesimo. Per questo sono beati quelli che, pur nella dimensione di creature soggette al peccato, hanno nel loro cuore quei sentimenti di amore al prossimo, ai fratelli insegnatici e consegnatici da Gesù. Non c’è in tutte le beatitudini un obbligo, che sia uno, nei confronti di Dio; solo nei confronti dei fratelli, e Dio come eredità, come premio finale. E’ come se il Signore ci guardasse con amore e benevolenza dispensandoci grazia su grazia come dice S. Paolo: “(Romani cap. 5) [20] laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”.
[3]«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli e [8]Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Cioè beati coloro che amano Dio nella purezza del loro cuore, che non nascondono inganni o secondi fini o falsità. (Giovanni cap. 1) [47]Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». Natanaèle era di cuore puro, non era un ipocrita, un fariseo, non era di quelli che Giovanni il Battista aveva apostrofato chiamandoli “Razza di vipere”
5]Beati i miti, perché erediteranno la terra. [9]Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. I miti, non i violenti, erediteranno la terra insieme con coloro che non solo non sono violenti ma che si oppongono ai violenti predicando ed attuando la pace, la concordia, l’amore. Costoro saranno gli eredi, questi erediteranno la vita eterna. (Luca cap. 10) [25]Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». (1Corinzi cap. 6) [9]O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?
[7]Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia [4]Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Anche colui che si sente oppresso e schiacciato dalle difficoltà della vita sarà consolato dalla misericordia di Dio. I poveri, i sofferenti, gli sconfitti della vita sono i prediletti del Signore al punto che i peccati commessi a causa della loro estrema indigenza troveranno misericordia presso Dio, saranno consolati come ci dice anche S. Giacomo nella sua lettera: (Giacomo cap. 2) [13]il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio.
[6]Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. [10]Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11]Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. [12]Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Il brano evangelico ci parla di giustizia ed è la giustizia terrena di cui è affamato chi ha sofferto un’ingiustizia, costui ha la promessa che il suo giusto diritto sarà ristabilito. Ma è soprattutto la Giustizia di Dio della quale saranno saziati proprio come ci ha detto la lettera di Giacomo. Tutti noi che desideriamo essere salvati, io penso, siamo affamati e assetati di questa giustizia, di essere dichiarati e trovati giusti agli occhi del Signore per accedere alla eredità di quella vita eterna cui aneliamo durante la nostra vita terrena. Anche noi siamo beati perché la nostra fame e la nostra sete saranno soddisfatte. Questa è la giustizia che conta. Nel linguaggio biblico la parola “giusto” non ha come opposto “ingiusto”, ma “empio”. Perciò il giusto entrerà nel regno dei cieli. Però non dobbiamo pensare di poterci giustificare, cioè essere considerati giusti agli occhi del Signore, per i nostri meriti: tutto ci è dato per Grazia. E’ solo la magnanimità del Signore, la sua misericordia, a salvarci per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore.
sabato 24 ottobre 2009
LECTIO DIVINA
Oggi, 20 0tt0bre, inserisco le mie riflessioni sul vangelo della prossima domenica. Mi rendo conto che è un po' più lungo del solito, ma esso è il frutto di anni di riflessioni su questo brano e, vi piacia o non, ho voluto tagliare soli pochi argomenti che non mi sembravano del tutto pertinenti.Buona lettura.
(Marco cap. 10) [46]E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. [47]Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». [48]Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
[49]Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». [50]Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. [51]Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». [52]E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.
L’episodio del cieco di Gerico è una delle pagine evangeliche a me più care: forse perché da esso ho tratto la mia giaculatoria che mi accompagna sempre “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me”.
“Il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.”
Essere cieco come questo povero di Gerico voleva dire dipendere totalmente dalla generosità altrui: l’unica speranza per sopravvivere era mettersi al lato di una strada frequentata e tendere la mano ai passanti. Certo questi, i passanti, erano coscienti delle condizioni sociali del disgraziato e, penso, condividessero con il loro obolo a mantenere in vita il povero minorato. Il passante, che spesso conosceva personalmente il mendicante, gli allungava uno spicciolo o, come si usava nelle campagne dalle mie parti, un tozzo di pane, non sempre fresco di forno. Non c’era certamente da scialacquare: la vita era dura per la popolazione, figurarsi per il povero mendicante. Ma per il cieco era questa l’unica speranza non essendo il padre, Timeo, che in più del figlio forse aveva solo gli occhi per piangere, in grado di mantenerlo. Bartimeo era talmente povero da non avere nemmeno un nome proprio. O meglio, certamente l’aveva, ma era da tutti conosciuto come il “figlio di Timeo”, Bartimeo
Sedeva. Più che seduto, diremo che era accosciato al lato della strada, in atteggiamento umile e sottomesso, come si conviene a chi chiede qualcosa. Spesso nel linguaggio biblico un uomo seduto sta a significare l’atto di sedersi a giudicare. Ma il nostro povero cieco era seduto per terra, nella polvere, quasi in atteggiamento di penitenza, di abbattimento, di estrema miseria e sconfitta. “ lungo la strada” . Certamente non gli avevano riservato il centro della strada!! Ma sedeva al lato della strada, là dove si accumulano i rifiuti, i sassi, la polvere, i derelitti, i mendicanti insieme all’ immondizia. Qui sedeva Bartimeo a mendicare.
A questo punto conviene fermarci per riordinare un po’ le idee. Cosa ci vuole dire con questo episodio, anzi con queste prime righe, l’evangelista? La strada è il mondo: gente che va, gente che viene. Dove porta? Non porta da nessuna parte, è fine a se stessa. In essa sediamo noi, ciechi e, sostanzialmente, miserevoli, ai lati di questa strada in mezzo alle sue immondizie fatte di piaceri, di sesso, di soddisfazione dei nostri più bassi istinti. Ci lasciamo attrarre e coinvolgere in cose talvolta anche legittime e di tutto rispetto come il lavoro, la famiglia, i figli, la moglie (o il marito),la casa, l’arte, la musica, lo sport ,ecc. Tutte cose legittime, ma alle quali non sappiamo dare il giusto valore. Sono queste cose importanti, ma non da mettere al primo posto nella nostra scala dei valori. Poi ci sono delle cose meno rispettabili come il denaro, il successo conquistato a tutti i costi, il potere, il possesso di beni ecc. che in nessun caso devono trovare posto nei desideri di un cristiano. (1Tim.cp. 6)"Questo devi insegnare e raccomandare.[ [7] Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via. [8]Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo". Così Paolo nella lettera a Timoteo. Siamo ciechi e non vediamo quale miseria ci circondi e non vediamo neppure cosa è importante e cosa lo è meno. Tutto passa e di tutto questo non ci rimane nulla. Ci lasciamo guidare da chi crediamo che il mondo lo conosca e lo domini: scrittori, filosofi, televisione, partiti politici, maestri spesso del male, del sopruso. Sentiamo cosa ci dice il Signore di questi falsi maestri: < "(Matteo cap. 15)[14]Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». Siamo seduti in attesa di un obolo effimero che il mondo ci allunghi. E, quel che è peggio, noi siamo pure contenti di questa situazione! Ci fanno sentire al centro del mondo, ci sembra che tutto ruoti intorno a noi, ci dicono che noi siamo i padroni di noi stessi. Siamo come i drogati alla loro prima esperienza: crediamo di dominare il mondo per poi accorgerci che ne siamo dominati, ci dicono di essere i protagonisti e non ci accorgiamo di sedere nell’immondizia. Chi siamo ? Dove andiamo? Siamo polvere nella polvere ed il mondo, che tanto amiamo, un giorno sparirà con noi. Ed allora....? Che ne sarà di noi? Sarà vero, come ci dice il mondo, che TUTTO finirà con noi, che non c’è un aldilà, che non c’è vita dopo questa? Certo questo nostro corpo, (espressione fisico-chimica, come dice qualcuno) è destinato alla distruzione ma sarà poi vero che tutto finisce con lui? E se non fosse così? Cosa ho fatto o faccio io per questa altra vita che mi attende? Diceva Blaise Pascal, un cristiano del ‘600, : noi abbiamo fatto una scommessa: “Dio esiste o non esiste? Io dico che esiste e mi comporto come se ogni giorno dovessi comparire davanti a Lui. Tu invece dici che non esiste e ti comporti coerentemente con la tua idea. Ora se io muoio e non esiste io non avrò perduto nulla, tutto sarà finito, e nella nostra scommessa saremo pari. Ma se esiste io sarò salvo. E tu.....? Tu avrai perso la scommessa. Che ne sarà di te?” Ma ritorniamo al nostro cieco seduto sulla strada di Gerico. Del suo mondo, della realtà che lo circonda egli conosce quasi esclusivamente quello che gli dicono gli altri. E’ una vita monotona la sua, sempre le stesse cose. Ma oggi sente un subbuglio, un mormorio di gente che ai suoi orecchi resi ipersensibili dalla sua infermità appare come un frastuono, e chiede cosa sta succedendo. “Passa Gesù, il Nazareno”. Nei discorsi fatti al lato della strada si è parlato talvolta di questo taumaturgo, di questo santo uomo e dei miracoli da lui compiuti, ma ha preso la notizia come una cosa troppo lontana da lui, come un qualcosa che non lo riguarda. Non aveva mai pensato che anche a lui fosse data la opportunità di incontrario. Ha un lampo. Capisce subito che quella è l’occasione della sua vita, non può lasciarsela sfuggire. Per cui gli esce dal petto un grido, una invocazione cui non aveva mai pensato: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me”. Ma questo grido accorato non piace alla gente, dà fastidio, non sta bene: ”Statene al posto tuo, fai silenzio”. ”Non è opportuno in questo momento che tu ti metta a gridare. Ma chi ti credi di essere per importunare così il nostro ospite e anche noi.?” Ma nel cieco si rafforza sempre di più la convinzione che QUELLA è l’occasione della sua vita, non può lasciarsi intimidire. Ha sempre fatto silenzio, ha sempre fatto ciò che gli altri gli hanno permesso, ora non più. Non in questa occasione almeno. Pertanto grida ancora più forte per sovrastare il clamore della folla: “ Figlio di Davide, abbi pietà di me”. Questo grido sgorgato più dalla mente che dal cuore in cui riconosce a Gesù la figliolanza di Davide e quindi il ruolo di inviato del Signore, cioè di Messia, è teso esclusivamente ad attirare l’attenzione di Gesù. In quel grido, così come ce lo riportano gli evangelisti, non c’è un riconoscimento della divinità di Gesù ma solo il titolo di Messia. Forse il cieco non si rende conto neppure lui di quello che Gesù rappresenta, pensa solo vagamente che Gesù lo possa aiutare e perciò desidera incontrarlo. Non lo chiama, come farà Tommaso nel cenacolo, con una espressione proveniente dal cuore: ”Mio Signore e mio Dio !!”. Gli dà solo il titolo messianico, terreno. Ma Gesù accetta anche questo solo titolo. Che il cieco sia determinato nel suo proposito è sicuro, ma cosa Gesù potrà fare per lui non gli è chiaro. Perciò grida ancora più forte. Gesù, sempre attento alle sofferenze umane, pur in mezzo al frastuono della folla, percepisce questo grido implorante e chiede chi fosse a gridare e, saputolo, ordina che glielo conducano davanti. “Coraggio! Alzati! Ti chiama”. “Coraggio!!” E’ questa una parola che non si usa più. Siamo diventati tutti coraggiosi, non abbiamo più bisogno di incoraggiamenti; siamo tutti padroni del mondo!! Fermiamoci ancora una volta a riordinare le idee e cercare di capire che cosa ci sta dicendo il Signore. Anche noi , come il cieco di Gerico, siamo seduti ciechi e non vediamo nulla: non distinguiamo ciò che importante nella vita e ciò che lo è meno o che non lo è affatto. Sentiamo parlare di Dio, di Gesù, di salvezza ma sono discorsi che non ci interessano: “Mi occuperò di queste cose più in là. Ora ho troppo da fare: mi devo occupare del mio lavoro, di sistemare i figli (o di allevarli), di tante altre cose che dipendono da me. Non ho tempo!” Ma quando noi pensiamo di poterci occupare di queste cose ce ne sarà dato il tempo? Le chiese sono frequentate in prevalenza da persone anziane che forse in gioventù hanno ragionato in questo modo ed oggi, nell’imminenza della chiamata all’altra vita si ricordano di quale sia la posta in gioco. Ma per ognuno di queste persone anziane quanti loro coetanei sono morti prima? Cerchiamo di non aspettare il tempo propizio che forse non verrà mai. Questo è il tempo. Ora. Se tu ti metti in ascolto, senti la chiamata di Gesù. Non lasciare che Gesù, che ti sta passando vicino, passi invano. Grida anche tu come il cieco. “Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Ecco il punto: gettato via il mantello. <(Es. 22,25]Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, [26]perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l'aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso>. Il mantello è il tetto, la casa del misero. E’ tutto quello che possiede, non ha altro e per questo il Signore nell’Esodo dà delle precise disposizioni: non glielo toglierai neppure per una notte!! Ma il nostro cieco ha trovato un tesoro più grande, che lo rende ricco: ha trovato Gesù. Ora non ha più bisogno del mantello, tutta la sua fiducia la ripone in Gesù. Non ha bisogno d’altro. Prima stare sotto il mantello, sentirselo addosso, gli dava un senso di sicurezza: non era del tutto esposto ai pericoli. Certo era una sicurezza relativa, ma per chi non possiede che quel mantello quello é la sua sicurezza.
Quel mantello per noi è tutto quello che il mondo ci dà: denaro, stipendio o pensione, vigna, casa, conto in banca ecc. tutte quelle cose cioè sulle quali noi abbiamo fondato la nostra effimera sicurezza. Sono i nostri nuovi idoli ai quali dedichiamo tutte le nostre energie, ai quali sacrifichiamo tutto il nostro tempo. Né più e né meno di come facevano gli adoratori degli idoli prima della venuta di Cristo. Il cieco compie l’atto estremo di buttarlo via, noi, almeno metaforicamente, dobbiamo fare altrettanto. Non voglio dire che ci dobbiamo, da un giorno all’altro, privarci dei nostri beni, rinunciare a tutto quello che il mondo ci ha offerto. Sarebbe un atto eroico che il Signore chiede solo a certi a Lui consacrati: Per noi è sufficiente che diamo il giusto valore ai beni posseduti, a qualsiasi titolo noi li si possieda. Noi li abbiamo ricevuti solo in prestito, in effetti non ci appartengono. Quando moriremo li lasceremo ad altri, non porteremo via nulla da questo mondo. Li lasceremo come altri li hanno prima lasciati a noi. Ce ne andremo nudi come nudi siamo venuti in questo mondo!
Il cieco ha capito questo, e butta via ciò che possiede, senza rimpianto. Gesù lo chiama e non ha bisogno d’altro: la sola chiamata di Gesù lo appaga. Non sa cosa gli chiederà e cosa Gesù gli accorderà, ma già la sua presenza, il fatto di trovarsi di fronte a Lui, di essere da Lui riconosciuto è per lui sufficiente.
“Che cosa vuoi che io faccia per te?” Questo gli chiede Gesù. (Mat cp.6)[7] il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.) Gesù sapeva già cosa gli avrebbe chiesto il cieco, ma glielo chiede espressamente. Dio ha creato l’uomo libero, assolutamente libero in ogni sua manifestazione e Dio ha sempre rispettato e rispetta questa libertà. E nel rispetto della libertà del cieco gli chiede “Che cosa vuoi che io faccia per te?” Forse il cieco non si era preparato a quella domanda, forse voleva incontrare Gesù solo per avere una parola di conforto, forse nel suo grido, che riconosceva in Gesù l’inviato di Dio, implorava solo una generosa elemosina. Ma essere alla presenza di Gesù lo trasforma, percepisce quale potenza si celi in quel personaggio, sente che chi gli sta davanti non è un semplice uomo, che con lui può osare l’impossibile certo di essere esaudito. E nella sua certezza chiede di essere liberato dalla sua infermità: “Rabbunì, che io riabbia la vista”. Ecco, semplicemente questo. Il verbo greco usato da Marco è <> che vuol dire “riacquistare la vista”. Ma vuol dire anche “guardare in alto”.(Rocci- Dizionario greco – italiano –Per il verbo anablepo da’ 2 significati : 1° guardare in su, in alto; 2° vedere di nuovo). Ora se noi propendiamo per la seconda traduzione, che è la più comune, evidentemente Bartimeo un tempo vedeva e ora vuole vedere di nuovo. E’ come uno che ha perso la fede, che vede intorno a sé solo buio e tenebre ed ha paura. Per questo chiede al Signore di vedere di nuovo, di liberarlo dalla cecità. Quanti di noi sono ciechi!! Non vedono nulla e si ostinano nella loro beata cecità! Oppure quanti di noi sono ciechi per un periodo più o meno lungo, quando vogliono sostituirsi a Dio credendo di bastare a sé stessi, ciechi fino a credere che il Signore di disinteressi di lui. Se invece propendiamo per la seconda ipotesi di traduzione (sono ambedue valide e complementari fra loro) ci accorgiamo che Bartimeo è meno cieco di quello che sembri. Egli vuole guardare in alto, è in cerca di altri orizzonti, chiede di avere altre speranze, altre prospettive di vita. Vuole abbandonare questa vita di buio, di orizzonte limitato per entrare in una altra realtà sovrannaturale in cui avere risposte alla sua angoscia. Vuole che lo si tolga da questa vita di miserie, non vuole più vedere la polvere della strada del mondo alla quale è abituato. Vuole avere orizzonti più consoni alla sua spiritualità. In questo senso Bartimeo è meno cieco di chi ha 10/10 di vista: lui sa cosa importa della vita e cosa importa meno, sa dare valore alle cose. Certo è importante per lui vedere anche il colore del cielo, godere della bellezza della natura, ma ancora più importante è fissare il suo sguardo su chi della vita è il padrone. Per questo Gesù gli dice che è stato salvato dalla sua fede; non gli dice di averlo guarito, ma di averlo salvato grazie alla fede riposta in Lui, in Gesù. Ci sono ciechi che vedono più di coloro che dicono di vedere benissimo e ci sono nella storia e nel mondo persone che hanno aperto gli occhi. Non è facile credere. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II l’ ha definita . Non è facile perché si oppongono ostacoli che sembrano insormontabili: la cultura innanzi tutto, poi quella che noi chiamiamo intelligenza, raziocinio, ecc. La cultura. Uno ha letto un po’ di filosofia, si è lasciato irretire dai discorsi pseudo sapienti dei filosofi, di uomini di prestigio, ( politici, professori, conferenzieri, media) e si adegua, segue pedissequamente le loro idee. Ma è giusto? Non posso essere cristiano perché non sono d’accordo sul come si comportano i preti, i religiosi, i cristiani ecc. Posso dire che non sono d’accordo neppure io. Oppure non accetto e non capisco il Dio cristiano che si occupa in continuazione dell’uomo? Il nostro Dio prende parte alla vita delle sua creature, vivendo con lui, camminando con lui, essendo presente in ogni istante della sua vita.
Insegnamenti per noi? Mi pare che siano abbastanza evidenti: aprire gli occhi, saper discernere fra le cose della vita quelle che sono importanti da quelle che lo sono meno. Ci dobbiamo fare una scala di valori mettendo al primo ciò che più conta. Misurando non solo questa vita sulla terra ma non dimenticando che siamo stati creati per l’eternità. Dirà qualcuno: <>. Ricordati di quanto detto prima, della scommessa. Fratello mio, anche tu sei incastrato, non puoi tirarti fuori. Se ti metti in ascolto sentirai che Gesù ti chiama, che sta passando vicino a te, che sta chiamando proprio te. Ascolta, come era attento ai rumori il cieco di Gerico. Sentirai una vocina. Non soffocarla. Falla diventare un grido assordante nel tuo cuore.