II° DOMENICA DI AVVENTO
06 – 12 - 2009
(Luca cap. 3) [1]Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, [2]sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. [3]Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, [4]com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
[5] Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.
[6] Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
L’evangelista Luca, medico, preciso, quasi pignolo, ci dà precisa notizia della parola di Dio scesa su Giovanni nel deserto. Il brano di Isaia riportato dall’evangelista differisce un po’ dall’originale, [(Isaia cap. 40) [3]Una voce grida: /./ «Nel deserto preparate // la via al Signore,// appianate nella steppa // la strada per il nostro Dio.], ma la sostanza è immutata. Isaia riferisce di una voce impersonale che grida nel deserto, mentre Luca precisa che quella voce è Giovanni il Battista. Giovanni Battista non grida al deserto, ma ai suoi contemporanei e anche noi, se non siamo sordi: <>. Come? Innanzi tutto, liberando il nostro cuore e la nostra mente da altri pensieri e preoccupazioni, facendoli ricettivi alla parola di Dio (raddrizzate i suoi sentieri!), lasciate che essa giunga direttamente a noi, eliminiamo tutti gli ostacoli che il mondo ci frappone. <>: colmiamo gli abissi scavati dai nostri peccati, dalle nostre ribellioni. .Come dire abbassiamo la nostra superbia, scendiamo dalla montagna del nostro orgoglio, dal colle della nostra alterigia, lasciamoci inondare dalla luce che proviene dalla Parola, dal Logos, dal Verbo di Dio.
(Giovanni cap. 1) [6]Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
[7]Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
[8]Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
[9]Veniva nel mondo
la luce vera,
Questo è Giovanni Battista. Perché grida nel deserto? Il deserto rappresenta l’esperienza forte fatta nel deserto del Sinai dal popolo ebraico; esperienza che rimarrà indelebile nell’animo del popolo ebraico e tutt’ora qualcuno desidera rifare l’esperienza dei padri pellegrinanti nel deserto. La parola deserto appare più di trecento volte nel A.T. e una quarantina di volte nel N.T. Il deserto è quindi quella indimenticata esperienza nota e cara ad ogni ebreo e capace di muovere i loro cuori all’ascolto di quella voce. Ma può anche significare, purtroppo, che quella voce grida in un deserto di ascolti, come è spesso nei nostri tempi. Se la si sente non la si ascolta e se per un po’ la si è ascoltata la si prega di tacere, quando non le si impone perentoriamente di tacere: non è gradita. Non è gradito sentirci dire di guardare dentro di noi, di fare esame di coscienza, di individuare i nostri peccati e confessarli battendoci il petto. No. Non è gradito. Preferiamo ignorare, preferiamo nascondere, preferiamo mettere la testa sotto la sabbia. Eppure… Eppure il Signore ci sta dando un’opportunità, ci sta per passare vicino, sta per chiamarci:. Come nel profeta Osea, il Signore chiamerà tutti coloro che lo hanno tradito, che si sono prostituiti commettendo adulterio nei confronti del Signore: (Osea cap. 2)
[16]Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Il Signore, mentre siamo in attesa del suo Unigenito, ci chiama nel deserto. Non è un deserto fisico, ma è un deserto che dobbiamo fare intorno a noi, dentro di noi, per poterci presentare di fronte a Lui liberi dagli orpelli che noi stessi ci siamo creati nella nostra vita. Togliamoci di torno tutto ciò che non è indispensabile alla nostra vita, - che non è “vita”, ma spesso morte - e diamo il giusto valore alle cose. Non è quindi che dobbiamo estraniarci da questa vita, da questo mondo nel quale dobbiamo comunque vivere, ma pensando ed agendo come non gli appartenessimo; e non gli apparteniamo. Se ci fermiamo un momento a riflettere ci accorgiamo che in fondo in fondo al nostro intimo affiora sempre un senso di insoddisfazione, di mancanza di qualcosa, di incompiutezza, che ci manca qualcosa cui non sappiamo dare un nome. Non sarà, per caso, l’insoddisfazione provocata dal nostro errato rapporto col nostro Creatore?
06 – 12 - 2009
(Luca cap. 3) [1]Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, [2]sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. [3]Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, [4]com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
[5] Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.
[6] Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
L’evangelista Luca, medico, preciso, quasi pignolo, ci dà precisa notizia della parola di Dio scesa su Giovanni nel deserto. Il brano di Isaia riportato dall’evangelista differisce un po’ dall’originale, [(Isaia cap. 40) [3]Una voce grida: /./ «Nel deserto preparate // la via al Signore,// appianate nella steppa // la strada per il nostro Dio.], ma la sostanza è immutata. Isaia riferisce di una voce impersonale che grida nel deserto, mentre Luca precisa che quella voce è Giovanni il Battista. Giovanni Battista non grida al deserto, ma ai suoi contemporanei e anche noi, se non siamo sordi: <>. Come? Innanzi tutto, liberando il nostro cuore e la nostra mente da altri pensieri e preoccupazioni, facendoli ricettivi alla parola di Dio (raddrizzate i suoi sentieri!), lasciate che essa giunga direttamente a noi, eliminiamo tutti gli ostacoli che il mondo ci frappone. <>: colmiamo gli abissi scavati dai nostri peccati, dalle nostre ribellioni.
(Giovanni cap. 1) [6]Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
[7]Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
[8]Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
[9]Veniva nel mondo
la luce vera,
Questo è Giovanni Battista. Perché grida nel deserto? Il deserto rappresenta l’esperienza forte fatta nel deserto del Sinai dal popolo ebraico; esperienza che rimarrà indelebile nell’animo del popolo ebraico e tutt’ora qualcuno desidera rifare l’esperienza dei padri pellegrinanti nel deserto. La parola deserto appare più di trecento volte nel A.T. e una quarantina di volte nel N.T. Il deserto è quindi quella indimenticata esperienza nota e cara ad ogni ebreo e capace di muovere i loro cuori all’ascolto di quella voce. Ma può anche significare, purtroppo, che quella voce grida in un deserto di ascolti, come è spesso nei nostri tempi. Se la si sente non la si ascolta e se per un po’ la si è ascoltata la si prega di tacere, quando non le si impone perentoriamente di tacere: non è gradita. Non è gradito sentirci dire di guardare dentro di noi, di fare esame di coscienza, di individuare i nostri peccati e confessarli battendoci il petto. No. Non è gradito. Preferiamo ignorare, preferiamo nascondere, preferiamo mettere la testa sotto la sabbia. Eppure… Eppure il Signore ci sta dando un’opportunità, ci sta per passare vicino, sta per chiamarci:
[16]Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Il Signore, mentre siamo in attesa del suo Unigenito, ci chiama nel deserto. Non è un deserto fisico, ma è un deserto che dobbiamo fare intorno a noi, dentro di noi, per poterci presentare di fronte a Lui liberi dagli orpelli che noi stessi ci siamo creati nella nostra vita. Togliamoci di torno tutto ciò che non è indispensabile alla nostra vita, - che non è “vita”, ma spesso morte - e diamo il giusto valore alle cose. Non è quindi che dobbiamo estraniarci da questa vita, da questo mondo nel quale dobbiamo comunque vivere, ma pensando ed agendo come non gli appartenessimo; e non gli apparteniamo. Se ci fermiamo un momento a riflettere ci accorgiamo che in fondo in fondo al nostro intimo affiora sempre un senso di insoddisfazione, di mancanza di qualcosa, di incompiutezza, che ci manca qualcosa cui non sappiamo dare un nome. Non sarà, per caso, l’insoddisfazione provocata dal nostro errato rapporto col nostro Creatore?
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