martedì 9 febbraio 2010

SESTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VI DOM DEL T.O. - 14/02/2010

(Luca cap. 6)
[17]Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone
[20]Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
«Beati voi poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
[21]Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete.
[22]Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. [23]Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
[24]Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.
[25]Guai a voi che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
[26]Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.

In questa domenica, ultima del Tempo Ordinario prima della Quaresima, la Sacra liturgia ci propone la versione di Luca delle Beatitudini. Al contrario della versione riferita dal Vangelo di Matteo, più nota e conosciuta, la versione di Luca, riferisce anche quattro “guai !”. Si potrebbe dire che queste “messe in guardia”, questi avvertimenti siano il rovescio della medaglia: da un lato le “beatitudini” dall’altro i “guai!”. E’ un modo più incisivo, più realistico per avvicinarsi alla realtà. Se con le beatitudini ciascuno di noi si sforza di identificarsi con una di esse, ricercando in se stesso le virtù che possano identificarlo in una almeno, le quattro ammonizioni che fa seguire Luca ci danno uno scossone e dai sogni rosei ci riporta alla dura verità della nostra vita. Forse nessuno di noi si identifica col ricco, ma neppure con gli indigenti e la coscienza di non avere sempre e in ogni occasione dato una mano a chi era meno fortunato di noi ci costringe alla riflessione sul nostro stato. La domanda è questa: “ Ho fatto buon uso di quanto il Signore mi ha concesso? Sono stato sempre cosciente che quanto ho mi è stato generosamente prestato dal Signore, senza mio merito alcuno?” Voglio insistere sul verbo “prestato” (e non “posseduto”) perché, in effetti, noi non siamo padroni di nulla e quanto dichiariamo “nostro”, non ci appartiene nel modo più assoluto.
(Giobbe cap. 1)
«Nudo uscii dal seno di mia madre,
e nudo vi ritornerò.
Io penso, e spero, che molti di noi vivono nella serenità di una famiglia, circondati dall’affetto dei parenti, conducendo un’esistenza ovattata in cui l’angoscia e la tristezza viene, per così dire, lasciata fuori della porta. Però non è detto che tutto sarà sempre così: il dolore, l’angoscia, la sofferenza sono dietro l’angolo. Anche se ogni giorno preghiamo “Padre nostro… non ci indurre in tentazione…”, cioè: “Signore, non metterci alla prova, perché siamo consci della nostra fragilità”, sappiamo che queste prove il Signore ce le manderà. Il Signore ci metterà alla prova non perché il Signore è sadico e vuole vederci soffrire, ma per la nostra fortificazione, per farci fare ancora un altro passo verso di Lui, per la nostra santificazione.
L’ultimo “guai a voi!” potrebbe essere rivolto anche a coloro che, pur non essendo profeti e neppure ritenendosi tali, si crogiolano nelle pratiche di religione cercando ammirazione e rispetto. Questi io credo possano essere assimilati ai falsi profeti che cercavano di compiacere quelli ai quali si rivolgevano ricavandone rispetto e prestigio, mentre sappiamo che i veri profeti, andando contro il pensare comune e avendo in mente solo le parole del Signore, andavano quasi sempre incontro alla morte.

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