martedì 22 dicembre 2009

SACRA FAMIGLIA

ANNO C
SACRA FAMIGLIA
27 – 12 - 2009-
(Luca cap. 2) [41]I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. [42]Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; [43]ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. [44]Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; [45]non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. [46]Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. [47]E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. [48]Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». [49]Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». [50]Ma essi non compresero le sue parole. [51]Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. [52]E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

La famiglia di Nazaret è figura e modello della famiglia cristiana in cui non mancano angosce e preoccupazioni che si risolvono con fede e umiltà. Possiamo immaginare anche oggi quale angoscia e sofferenza abbiano provato Maria e Giuseppe non trovando Gesù, per loro fanciullo ignaro ed inesperto, non trovandolo tra gli amici e i parenti alla prima sosta del viaggio di ritorno dopo la Pasqua. Quale ambascia nel ripercorrere a ritroso la strada verso Gerusalemme sulla sorte del fanciullo loro affidato e del quale, forse, col passare degli anni, con gli anni era come svanito il ricordo della sua origine non totalmente umana. Penso, ed è plausibile, che il ritorno a Gerusalemme l’abbiano fatto in minor tempo di quello impiegato da Gerusalemme al punto della prima sosta. Ritornati in questa grande città, per loro che venivano da un piccolo tranquillo villaggio della Galilea, dove cercare Gesù, a parte il posto, la locanda dove avevano alloggiato? Quanti pensieri, quanti rimproveri ciascuno avrà rivolto a se stesso! Io mi sforzo sempre di umanizzare la loro storia per non avvolgerla in un alone mitico, di irrealtà che la renderebbe incomprensibile e lontana. Il loro “Sì” affermativo fu dato nell’incertezza del domani. Maria rischiava la lapidazione pubblica, né più e né meno di una musulmana oggi accusata di adulterio. Giuseppe col suo “Sì” si era caricato di pericoli e angosce: la fuga in Egitto per scampare alla morte il Bambino e forse anche se stesso; la vita di emigrante in una nazione in cui non so quanto fossero bene accetti; la ricerca di un lavoro per sopravvivere; ed ora la scomparsa del Fanciullo. Comunque sia, lo trovarono dopo tre giorni – e non è questa una notizia casuale – nel Tempio mentre con grande intelligenza interrogava i dottori della Legge. Il nostro amore, talvolta cieco, ci fa leggere che “il Fanciullo Gesù insegnava ai dottori della legge”. L’evangelista Luca, che ci racconta questo episodio, ha i piedi per terra ed evita accuratamente di lasciarsi trascinare da facili entusiasmi come è successo agli apocrifi che hanno voluto scrivere di Gesù raccontandoci episodi poco credibili.
A noi oggi, alle soglie del 2010, l’episodio di Gesù che interroga i dottori della Legge cosa ci dice? Ci dice dell’umanità di Cristo che, pur essendo nel seno del Padre dall’eternità, umanamente ha la necessità di andare al Padre attraverso la Parola dal Padre fino ad allora rivelata, cioè la Legge. Anche noi non possiamo andare al Padre se non conosciamo Gesù Cristo, se non ci avviciniamo alla Verità da lui rivelata, se non ci avviciniamo a lui che è la Verità.

lunedì 14 dicembre 2009

QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

IV DOM. DI AVVENTO
20 .12 . 2009

(Luca cap. 1) [39]In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. [40]Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. [41]Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo [42]ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! [43]A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? [44]Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. [45]E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».

“Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà.”, come dice la seconda lettura tratta dalla lettera agli ebrei. I sacrifici cruenti di una volta sono stato aboliti perché il Signore stesso si è fatto “sacrificio”; non più animali da macellare, non più primizie da offrire a Dio, ma il Signore offre il suo Figlio unigenito. Non c’era altro modo per riscattare l’uomo che ri-fondare, fondare di nuovo, l’uomo attraverso il sacrificio più alto, più eccelso: quello del Figlio di Dio, di Dio stesso. Solo il Creatore poteva riparare quello che l’uomo aveva contaminato con la sua disobbedienza. Per fare la tua volontà, mio Dio. A livello più umano anche Maria, col suo “SI’”, fa la volontà di Dio. Anche Elisabetta fa la volontà di Dio. Così pure Giuseppe, così Pietro e suo fratello Andrea, così Giovanni col suo fratello Giacomo e tutti gli Apostoli, tutti fanno la volontà di Dio, cioè entrano volontariamente, in piena libertà, nel progetto salvifico di Dio. Il Signore ci ha fatti liberi e se ci sono delle catene che ci legano sono quelle che noi stessi ci siamo costruite. (Cfr. Deut. 30,15ss.) Ora, per le persone che abbiamo citato prima è stata fatta un’eccezione? Sono stati in qualche modo condizionati e hanno fatto quello che non avrebbero voluto fare? In tal caso non hanno meriti, perché non erano liberi di scegliere. Io sono invece convinto che scelsero in piena libertà, compresa la Vergine Maria. Mi piace pensare che Maria e Giuseppe avessero altri progetti per la loro vita; e così anche Pietro e tutti gli Apostoli. Di Paolo sappiamo che era nei suoi progetti incatenare i seguaci di Gesù il Nazzareno. Eppure tutti questi hanno detto: :<>. Certe volte è stato un “Eccomi” sofferto, come quello, per esempio, di Tomaso, di Mosè, di Geremia ecc.
Anche noi siamo chiamati e, talvolta, per assumere un ruolo non cercato e che porta al sacrificio personale, all’annullamento di se stessi (vedi gli eremiti, le suore di clausura ecc.). Altre volte si è chiamati ad assumere da laici impegni nella Chiesa che, se non sono gravosi e annientanti agli occhi del mondo come quelli citati prima, non sono neppure tali da essere presi con leggerezza, comportando un impegno ed una dedizione che, anche se in piccolo, ti cambiano la vita. Rimane comunque la sensazione di lavorare nella Vigna del Signore.
BUON NATALE

lunedì 7 dicembre 2009

Terza domenica di Avvento

13– 12 – 2009
(Luca cap. 3) [10]Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». [11]Rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». [12]Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». [13]Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». [14]Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi che dobbiamo fare?». Rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe». [15]Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, [16]Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. [17]Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile».
[18]Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

Questa terza domenica di Avvento nella liturgia prima del Concilio Vaticano II, aveva il titolo “Gaudete”. “Gaudete in Domino sempre”, cioè “state allegri nel Signore, sempre”. Non lasciamoci ingannare dal colore dei paramenti liturgici che non intendono il alcun modo indurci alla tristezza e al dolore, ma solo alla vigile attesa dell’annunzio della nostra salvezza. Sia il brano del profeta Sofonia, sia il canto del salmo di Isaia, sia, e soprattutto, il brano della lettera ai Filippesi, da cui era tratto il titolo “Gaudete”, ci invitano alla gioia, a non lasciarci scoraggiare. La scorsa settimana una voce dal deserto ci invitava a colmare ogni burrone, ad abbassare i colli, a raddrizzare i sentieri, ebbene oggi il Signore ci dice che sarà Lui a compiere ciò che per noi era sembrato difficile o impossibile. Lui stesso preparerà la strada per giungere a parlare ai nostri cuori, Lui l’Onnipotente. Sarà il Signore Gesù che parlerà ai nostri cuori, che penetrerà in essi e gli scioglierà per esseri ricettivi alla sua Parola. <>
E noi? E noi, come le folle accorse ad ascoltare quella voce che gridava nel deserto, chiediamo: «Che cosa dobbiamo fare?». ) <<4]rallegratevi>>. Il brano del Vangelo di Luca ci dice come dobbiamo comportarci nell’attesa. Pratichiamo la carità e la giustizia; non quella giustizia importante, quella che si scrive nei tribunali con le lettere maiuscole, ma quella spicciola, quasi insignificante agli occhi del mondo ma preziosa davanti a Dio; quella carità e quella giustizia alla portata di ogni uomo, che non ha alcuna pretesa di rifondare il mondo. Cerchiamo di riempire d’amore quel piccolo spazio che ci circonda. Parafrasando un famoso slogan politico: <>. Giovanni Battista da anche delle indicazioni di comportamento ai pubblicani e ai soldati: <>. Come diceva un Cardinale americano: <>
Giovanni a chi gli chiede se è lui il Messia risponde che non lo è: Giovanni è solo il testimone della Luce. (Giovanni cap. 1)

[6]Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
[7]Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
[8]Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
[9]Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.

martedì 1 dicembre 2009

II Domenica di Avvento

II° DOMENICA DI AVVENTO
06 – 12 - 2009
(Luca cap. 3) [1]Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, [2]sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. [3]Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, [4]com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
[5] Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.
[6] Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

L’evangelista Luca, medico, preciso, quasi pignolo, ci dà precisa notizia della parola di Dio scesa su Giovanni nel deserto. Il brano di Isaia riportato dall’evangelista differisce un po’ dall’originale, [(Isaia cap. 40) [3]Una voce grida: /./ «Nel deserto preparate // la via al Signore,// appianate nella steppa // la strada per il nostro Dio.], ma la sostanza è immutata. Isaia riferisce di una voce impersonale che grida nel deserto, mentre Luca precisa che quella voce è Giovanni il Battista. Giovanni Battista non grida al deserto, ma ai suoi contemporanei e anche noi, se non siamo sordi: <>. Come? Innanzi tutto, liberando il nostro cuore e la nostra mente da altri pensieri e preoccupazioni, facendoli ricettivi alla parola di Dio (raddrizzate i suoi sentieri!), lasciate che essa giunga direttamente a noi, eliminiamo tutti gli ostacoli che il mondo ci frappone. <>: colmiamo gli abissi scavati dai nostri peccati, dalle nostre ribellioni. .Come dire abbassiamo la nostra superbia, scendiamo dalla montagna del nostro orgoglio, dal colle della nostra alterigia, lasciamoci inondare dalla luce che proviene dalla Parola, dal Logos, dal Verbo di Dio.
(Giovanni cap. 1) [6]Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
[7]Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
[8]Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
[9]Veniva nel mondo
la luce vera,
Questo è Giovanni Battista. Perché grida nel deserto? Il deserto rappresenta l’esperienza forte fatta nel deserto del Sinai dal popolo ebraico; esperienza che rimarrà indelebile nell’animo del popolo ebraico e tutt’ora qualcuno desidera rifare l’esperienza dei padri pellegrinanti nel deserto. La parola deserto appare più di trecento volte nel A.T. e una quarantina di volte nel N.T. Il deserto è quindi quella indimenticata esperienza nota e cara ad ogni ebreo e capace di muovere i loro cuori all’ascolto di quella voce. Ma può anche significare, purtroppo, che quella voce grida in un deserto di ascolti, come è spesso nei nostri tempi. Se la si sente non la si ascolta e se per un po’ la si è ascoltata la si prega di tacere, quando non le si impone perentoriamente di tacere: non è gradita. Non è gradito sentirci dire di guardare dentro di noi, di fare esame di coscienza, di individuare i nostri peccati e confessarli battendoci il petto. No. Non è gradito. Preferiamo ignorare, preferiamo nascondere, preferiamo mettere la testa sotto la sabbia. Eppure… Eppure il Signore ci sta dando un’opportunità, ci sta per passare vicino, sta per chiamarci: . Come nel profeta Osea, il Signore chiamerà tutti coloro che lo hanno tradito, che si sono prostituiti commettendo adulterio nei confronti del Signore: (Osea cap. 2)
[16]Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Il Signore, mentre siamo in attesa del suo Unigenito, ci chiama nel deserto. Non è un deserto fisico, ma è un deserto che dobbiamo fare intorno a noi, dentro di noi, per poterci presentare di fronte a Lui liberi dagli orpelli che noi stessi ci siamo creati nella nostra vita. Togliamoci di torno tutto ciò che non è indispensabile alla nostra vita, - che non è “vita”, ma spesso morte - e diamo il giusto valore alle cose. Non è quindi che dobbiamo estraniarci da questa vita, da questo mondo nel quale dobbiamo comunque vivere, ma pensando ed agendo come non gli appartenessimo; e non gli apparteniamo. Se ci fermiamo un momento a riflettere ci accorgiamo che in fondo in fondo al nostro intimo affiora sempre un senso di insoddisfazione, di mancanza di qualcosa, di incompiutezza, che ci manca qualcosa cui non sappiamo dare un nome. Non sarà, per caso, l’insoddisfazione provocata dal nostro errato rapporto col nostro Creatore?