domenica 17 gennaio 2010

SECONDA E TERZA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

III DOM. T.O. ANNO -24/01/2010

(Neemia cap. 8) [2]Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all'assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.[3]Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci di intendere; tutto il popolo porgeva l'orecchio a sentire il libro della legge. [4]Esdra lo scriba stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l'occorrenza [5]Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutto il popolo; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. [6]Esdra benedisse il Signore Dio grande e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. [8]Essi leggevano nel libro della legge di Dio a brani distinti e con spiegazioni del senso e così facevano comprendere la lettura. [9]Neemia, che era il governatore, Esdra sacerdote e scriba e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Perché tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. [10]Poi Neemia disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

Questa domenica la mia riflessione vorrei rivolgerla alla prima lettura, al brano del libro di Neemia. Neemia, ritornato dalla Persia, dove la sua famiglia era stata deportata tanti anni prima, aveva intrapreso la riparazione delle mura di Gerusalemme, piene di brecce e con le sue porta bruciate. Neemia era il governatore della Giudea, nominato dal re di Persia Artaserse, intorno al 444 a.C. Dall’anno della distruzione del Tempio e la deportazione del popolo ebraico erano passati circa 140 anni e il popolo aveva perso non solo le tradizioni, ma persino la lingua: non parlavano più l’ebraico, ma l’aramaico. Perciò il popolo, convocato alla porta delle Acque per ascoltare la lettura del libro della Legge che il Signore aveva dato a Mosè, aveva bisogno di qualcuno che gli spiegasse, li traducesse quanto andava letto. [8]Essi leggevano nel libro della legge di Dio a brani distinti e con spiegazioni del senso e così facevano comprendere la lettura. Era nel popolo in esilio il desiderio di ritornare nella patria perduta, ma la memoria di questa patria era contenuta nel libro che si andava leggendo e di cui era esperto e conservatore Esdra, il sacerdote. Prima della lettura benedissero il Signore a mani alzate, poi si prostrarono con la faccia a terra. Ascoltarono in silenzio dalle prime luci del giorno fino a mezzogiorno rimanendo in piedi in segno di rispetto e di attenzione.
E’ proprio questa estrema attenzione alla Legge, questo profondo rispetto della parola del Signore, alla storia che si andava narrando che era la storia di loro tutti, la commozione e il pianto con cui seguivano “Perché tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge” . Piangevano nell’ascoltare la Legge del Signore prendendo coscienza della sostanziale infedeltà ad essa. Era il loro senso di colpa che faceva sgorgare le lacrime dai loro occhi. Ciascuno rivedeva i propri errori e le proprie mancanze e l’amore di Dio che non ostante tutto continuava a riversarsi su di loro non poteva che indurre alla commozione e alle lacrime perché avevano aperto il loro cuore lasciando che le parole penetrassero nel loro intimo. Bisogna chiarire che quello che ascoltavano non era una elenco di leggi o di decreti, come saremmo indotti a pensare noi oggi che associamo la parola “legge” ad un insieme di norme di diritto, ma era la storia di Israele, i fatti visti e narrati in chiave teologica. Nei fatti del passato essi rivedevano gli errori di ieri e di oggi, attualizzavano la loro situazione e li deprecavano fino alle lacrime.
Se anche noi aprissimo il nostro cuore e lasciassimo penetrare la Parola fino nel più intimo del nostro essere, se ascoltassimo la Parola, non come una voce astratta, generica, ma come rivolta a ciascuno individualmente, io non credo che sarebbe facile tenere a freno le lacrime. Ne danno testimonianza coloro che, lontani dal Cristianesimo e dalla Chiesa, indifferenti, quando non ostili, riscoprendo il Cristo e il suo amore infinito, ne raccontano con animo commosso e riconoscente. Anche incompreso, non amato e perfino rifiutato, il Dio della Bibbia è Colui che continua ad amare ognuno di noi sino alla fine, è Colui che non abbandonerà mai nessuno qualsiasi cosa accada. Una rivelazione che l’essere umano trova difficile da accogliere poiché, non arrivando a riconciliarsi con alcuni lati oscuri della propria personalità e del suo passato, spesso egli fatica a credersi degno d’essere amato e a lasciarsi amare, fino a pensare a un Dio desideroso di giudicare e di condannare. Noi siamo giudici più severi di Dio.


II DOM. DEL TEMPO ORDINARIO - 17/01/2010

(Giovanni cap. 2) [1]Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. [2]Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. [3]Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». [4]E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». [5]La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».[6]Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. [7]E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. [8]Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. [9]E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo [10]e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». [11]Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. [12]Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.

Il commento esegetico di questo famoso e basilare brano del Vangelo di Giovanni, il Libro dei Segni, è molto articolato, affascinante, illuminante e anche molto lungo, tanto da non poterlo inserire in questo blog, ma sono disposto a spedirlo a parte a chiunque me ne faccia richiesta a
marianoemme@gmail.com
A noi,che esegeti non siamo, ma che intendiamo nutrirci della Parola di Dio per la nostra vita, cosa rimane, cosa ci vuole dire? Con Giovanni Battista, l’ultimo profeta, si chiude il Vecchio Testamento. Il profetismo è finito perché è venuto Cristo Gesù, colui che era stato annunziato dai profeti di tutto il Vecchio Testamento. Con Gesù ha inizio il Nuovo Testamento, ci viene annunziata la buona novella. Termina uno, stop, e inizia l’altro ? No. C’è Maria, la madre di Gesù, che funge da cerniera fra il Vecchio e il Nuovo. Maria rappresenta la fede di Israele, è la personificazione di coloro che credettero non ostante tutto. E’ la fede di Israele che viene dal basso, da coloro che non avevano poteri in Israele, che non attingevano la loro fede dalla cultura, dalla conoscenza della Sacra Scrittura, ma dalla profondità del loro cuore: “Non hanno più vino”. E’ una semplice constatazione della realtà che circonda loro e che è specchio di una realtà più grande che li sovrasta e li comprende. Maria non è che la figura più eminente di quanti credevano ed erano alla ricerca del nuovo che sentivano vicino. Lo stesso Giovanni ed Andrea e tutti gli Apostoli e discepoli gente umile e senza poteri scorrendo i Vangeli appaiono come alla ricerca del nuovo che trovano in Gesù di Nazaret. Così Nicodemo, così Giuseppe d’Arimatea, così, più tardi, lo stesso Gamaliele, il Rabbi maestro di S. Paolo. E’ la fede dell’Israele che le fa dire; «Fate quello che vi dirà». Non è solo l’amore di Madre a dettare queste parole dirette ai servi, ma tutto quello che Maria aveva conservato nel suo cuore, anche non comprendendo, dal momento dell’Annunciazione.
Questo Israele e la sua fede non finisce con la decapitazione di Giovanni Battista, ma entra nel nuovo a pieno diritto inserendosi nella Nuova Alleanza suggellata dal sangue dell’Agnello sulla Croce. E’ la vecchia Alleanza che rimane viva nella Nuova a ricordarci che il Cristianesimo non può fare a meno dell’ebraismo. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha definito gli ebrei i “Nostri fratelli maggiori”. Io credo fermamente a questa affermazione e definizione e mi riempie di dolore e rimpianto il pensare che perché questo grande e illuminato Pontefice gettasse un ponte attraverso il Tevere ci siano voluti seimilioni di morti nei campi di sterminio nazisti.

martedì 5 gennaio 2010

BATTESIMO DI GESU'

BATTESIMO DEL SIGNORE
10 – 01 - 10
(Lc 3,15-16;21-22)
Con il Battesimo del Signore si conclude liturgicamente il periodo di Natale e si potrebbe dire che lo concluda rivisitando, ricordandoci i fatti salienti, quelli che dobbiamo tenere a mente perché paradigmatici del periodo appena trascorso. Partiamo dalla prima lettura. (Isaia cap. 40
Il profeta Isaia ci invita ad alzare la testa perché siamo stati consolati, il nostro debito è stato pagato: “appianate perciò le strade del deserto del nostro cuore per ricevere il Salvatore”. La liturgia propone di rispondere a questo annunzio gioioso col salmo 103 (104) in cui il salmista in forma idilliaca descrive la creazione di questo mondo meraviglioso che il Signore ha creato per l’uomo.
La seconda lettura pare ricapitolare tutto nella lettera che Paolo indirizza a Tito. <[11]E' apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini,>
Il brano del vangelo di Luca ci mostra innanzi tutto l’umanità di Gesù, la sua umiltà: pur non avendo colpa alcuna si sottopone umilmente al battesimo di Giovanni. E l’umiltà di Giovanni nei confronti di Gesù non è da meno: “io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali” ; era questa un’operazione riservato al più infimo degli schiavi della casa e Giovanni, nei confronti di Gesù, si considera meno di uno schiavo. Giovanni non vuole che ci siano fraintendimenti: non è lui il Messia atteso.
Gesù, in tutta umiltà, attende pazientemente il suo turno, si mette in fila con gli altri battezzandi e, forse come gli altri, dopo il battesimo si concentra nella preghiera di ringraziamento al Padre. Certamente la preghiera di Gesù ha un’altra intensità, un’altra concentrazione. Stava per iniziare il cammino che lo avrebbe portato dopo tre anni a Gerusalemme e alla sua passione e morte. Da lì a poco Giovanni sarebbe stato arrestato e Gesù avrebbe iniziato il ministero affidatogli dal Padre. Il battesimo da noi ricevuto è stato l’inizio, la nostra entrata della comunità ecclesiale, l’inizio della nostra speranza, mentre per Gesù fu l’inizio della sua lenta agonia. La sua vita sulla terra non fu, infatti, piena di riconoscimenti e onori, ma incomprensioni, inimicizie, contrasti da chi non voleva, e in parte non poteva, capire per finire appeso ad una croce.
Uscito dall’acqua su Gesù in preghiera si manifestò lo Spirito Santo in forma visibile sotto le sembianze di colomba e una voce dal cielo che identifica Gesù come: Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto».